martedì 28 gennaio 2020

Il Sinodo e la pastorale della gattaiola. Un'avveduta riflessione dell'Abbé Lorans FSSPX a margine di Des profondeurs de nos cœurs

Dopo avere commentato il “triste caso di una recensione di Des profondeurs de nos cœurs” comparsa nel sito ufficiale della Fraternità Sacerdotale San Pio X fsspx.news (vedi qui) e avere rilevato il pericolo che, in settori della Fraternità, allo spirito del fondatore, Monsignor Marcel Lefebvre, si sostituisca un nuovo stile, una nouvelle vague, una sorta di “neo-tradizionalismo” che ben poco ha a che fare con la Tradizione cattolica, è stato un sollievo leggere nel medesimo sito una riflessione dell’Abbé Alain Lorans, redattore capo di DICI, l’organo di comunicazione ufficiale della FSSPX, sulla rilevanza del libro di Benedetto XVI e del Cardinal Sarah (vedi qui la versione francese; curiosamente non è ancora apparsa la traduzione italiana!). La riportiamo qui di seguito nella nostra traduzione.



Il libro che il cardinale Robert Sarah ha appena pubblicato – “con il contributo di Benedetto XVI” -, Des profondeurs de nos cœurs (Fayard), per il mantenimento del celibato ecclesiastico, pone Papa Francesco in una posizione delicata. Il Pontefice regnante che, dopo il Sinodo sull’Amazzonia, deve rendere pubblica la sua Esortazione apostolica, acconsentirà alle richieste dei Padri sinodali in favore dell'ordinazione degli uomini sposati e ignorerà gli appelli del Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, sostenuto dal suo predecessore sul trono di San Pietro? È vero che non tenne in alcun conto i dubia formulati, nel 2016, dai Cardinali Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner, sull'esortazione Amoris lætitia che, in seguito al Sinodo sulla famiglia, autorizza la comunione dei divorziati "risposati". Farà lo stesso riguardo al celibato ecclesiastico? Di più, se - per ipotesi - il Cardinale Gerhard Ludwig Müller si associasse all'approccio del Cardinale Sarah che ha lanciato un appello “a tutti i vescovi, sacerdoti e laici", affinché “non si lascino più impressionare dalle cattive perorazioni, dalle messinscena teatrali, dalle menzogne diaboliche, dagli errori alla moda che vogliono svalutare il celibato sacerdotale”, - se il prelato tedesco appoggiasse quest’appello, Francesco potrebbe dire che preferisce seguire il percorso “Sinodale” tedesco che sostiene una “Chiesa dal volto amazzonico”, ossia dotata di un clero sposato?

Un vescovo progressista come Monsignor Erwin Kräutler, partigiano militante dell’ordinazione degli uomini sposati, ha indicato nel suo libro, Erneuerung jetzt. Impulse zur Kirchenreform aus Amazonien (Tyrolia, Innsbruck 2019) [Il rinnovamento è ora. Impulsi per la riforma della Chiesa dall’Amazzonia], come Francesco riuscirà a uscirsene surrettiziamente: “Il Papa, come ha fatto al Sinodo della famiglia, potrebbe aprire una porta e dire: “Ora, vescovi, avete la possibilità di fare quel che ritenete giusto”.

È la “pastorale della gattaiola”: la porta dottrinale è chiusa, il celibato sacerdotale è mantenuto ovunque, ma sotto, a livello locale, è praticata un’apertura. Il rischio è che il gatto sia troppo grande e che rimanga incastrato.

Il Cardinal Sarah denuncia proprio questo raggiro troppo grande. Egli chiama il gatto con il suo nome e l’ordinazione degli uomini sposati non “un’eccezione ma una breccia, una ferita nella coerenza del sacerdozio. Parlare di eccezione sarebbe un abuso del linguaggio o una menzogna”.

domenica 26 gennaio 2020

La FSSPX e la nouvelle vague antiratzingeriana. Il triste caso di una recensione di Des profondeurs de nos coeurs

Negli ultimi tempi sembra essersi destata, nell’ambito del cattolicesimo tradizionale, un’ostilità verso Benedetto XVI e la sua opera di teologo e di Pontefice che arriva a un parossismo difficilmente spiegabile, soprattutto se si considera che con il Motu Proprio Summorum Pontificum il Papa ha reso accessibile la Messa antica a migliaia di cattolici in tutto il mondo e ha così indirettamente consolidato un vasto fronte di resistenza all’attuale crisi modernista della Chiesa.

Tale ostilità va da una produzione letteraria che si pretende scientifica, ma che inciampa rocambolescamente nell’idea improbabile di individuare in Ratzinger/Benedetto XVI l’epicentro del terremoto (si vedano, per es., i più recenti scritti di Enrico Maria Radaelli), alla divulgazione in rete di duri attacchi tramite canali come Radio Spada. Doloroso e sorprendente è constatare, da ultimo, che questa rumorosa nouvelle vague tradizionalista, che per i toni e gli argomenti tende a configurare una sorta di “neo-tradizionalismo”, inizi a travasarsi nel bacino, finora sicuro, della Fraternità Sacerdotale San Pio X o almeno, come si può sospettare, del suo Distretto italiano.


Ci riferiamo, in particolare, allo scritto del Rev. don Mauro Tranquillo comparso recentemente ne La Tradizione Cattolica (Anno XX n° 2 del 2019), la rivista ufficiale del Distretto italiano della FSSPX, su “La nuova messa e la professione di fede” (pp. 6-16), sul quale bisognerà ritornare, e, qui, a una recensione infelicemente anonima del libro di Benedetto XVI e del Cardinal Robert Sarah Des profondeurs de nos coeurs (Fayard, 2020; prossimamente Cantagalli) pubblicata in francese nel sito ufficiale della Fraternità, fsspx.news (vedi qui; e la traduzione ufficiale in italiano qui). Come si sa questo volume, che ha destato tanto scalpore e veementi attacchi da parti dei nemici del Cattolicesimo, prende posizione, difendendo la dottrina tradizionale del sacerdozio, contro l’ipotesi “sinodale” dell’attenuazione e finalmente dell’abrogazione della regola del celibato sacerdotale.


L’Autore della recensione (La fallimentare difesa del celibato sacerdotale di Benedetto XVI), dopo avere riassunto non senza qualche favore il contributo di Benedetto XVI (“..aggiunge con pertinenza…”, “…sottolinea giustamente…”, “questa spiegazione è abbastanza corretta e ben accetta. Ha una certa forza a favore del celibato sacerdotale”), rileva che “nelle circostanze attuali, Papa Ratzinger ha il merito e il coraggio di difendere il celibato ecclesiastico. Si oppone a tutti coloro che vorrebbero eliminare questa disciplina che fa parte della tradizione apostolica e che è profondamente radicata nel sacerdozio che Cristo ha trasmesso”. Peccato però che, in maniera disorientante per il lettore, ribalti subito il senso del discorso con le osservazioni che seguono

Benedetto XVI dipende da questa teologia [moderna], che ha sviluppato e vissuto, il che lo porta a affermazioni completamente deplorevoli. Quindi rifiuta di considerare la Croce di Gesù come un vero sacrificio e quindi come un atto di culto. Il Papa Emerito scrive: «La crocifissione di Gesù in sé non è un atto di culto». La ragione che dà è assurda: «i soldati romani che la eseguono non sono dei sacerdoti. Essi compiono un’esecuzione, ma non pensano neanche lontanamente di porre un atto di culto».
Questo è precisamente dimenticare che è Cristo che pone - e solo lui - questo atto di culto: è sia il Sommo Sacerdote della Nuova Legge sia la Divina Vittima, l'unico degno di essere approvato da Dio. La proposta di Benedetto XVI rientra inoltre nella condanna del Concilio di Trento: «Se qualcuno dice che il sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e ringraziamento, o semplice commemorazione del sacrificio compiuto sulla croce (…): che sia anatema» (sessione XXII, 17 settembre 1562, Denzinger 1753). La morte di Gesù Cristo sulla Croce è stata un vero sacrificio. Il sacrificio è il principale atto di culto dovuto a Dio. Sulla croce, quindi, c'è un vero culto, compiuto solo da Cristo.
Un altro canone dice allo stesso modo: «Se qualcuno dice che, con il sacrificio della messa, si commette una bestemmia contro il sacro sacrificio di Cristo compiuto sulla croce (...): che sia anatema» (Dz 1754). Negare che la Croce sia un atto di culto è incomprensibile.


Quanto questa critica al testo di Benedetto XVI si spinga fino alla deliberata manipolazione e persino alla falsificazione, risulta dal semplice confronto con ciò che realmente il Papa scrive in Des profondeurs de nos coeurs:

La crocefissione di Gesù non è in se stessa un atto cultuale. I soldati romani che l’eseguono, non sono sacerdoti. Essi procedono a un’esecuzione capitale. Non pensano in alcun modo a compiere un atto rilevante di culto. Il fatto che Gesù si doni per sempre come cibo durante l’ultima Cena significa l’anticipazione della sua morte e della sua resurrezione. Ciò significa la trasformazione di un atto di crudeltà umana in un atto d’amore e di offerta si sé (Des profondeurs de nos coeurs, cit., p. 38).

A differenza di ciò che sostiene il Recensore di fsspx.news, Benedetto XVI non nega in alcun modo la natura sacrificale della crocifissione, bensì soltanto che lo scopo dei soldati romani e degli atti dell’esecuzione capitale ai quali essi erano stati preposti, possano essere considerati in quanto tali momenti di un’azione di culto. E a questa considerazione coappartiene, in tutta evidenza e coerenza con l’insegnamento tradizionale della Chiesa dal quale Benedetto XVI non si discosta, l’osservazione che a rendere quegli atti e quella esecuzione un atto di sacrificio cultuale fu l’ultima Cena in quanto anticipazione della morte di Gesù in croce. Dunque l’accusa mossa a Benedetto XVI di essere incorso negli anatemi del Concilio di Trento è del tutto inconsistente.

mercoledì 22 gennaio 2020

L’Anticristo secondo Reinhard Raffalt. Una recensione di p. Serafino Lanzetta

Nel 2017 la casa editrice XY.it pubblicò nella collana Antaios diretta da Giuseppe Reguzzoni una delle più interessanti riflessioni contemporanee sulla figura escatologica dell'Anticristo. Si trattava di Der Antichrist di Reinhard Raffalt (1923-1973), musicologo e scrittore tedesco, grande apologeta della Tradizione cattolica romana e tra i primi critici del Concilio Vaticano II (Sinfonia Romana, Prestel, München 1966) e del nuovo corso postconciliare della Chiesa (Wohin steuert der Vatikan? Papst zwischen Religion und Politik, Piper, München 1976). Il testo raffaltiano sull'Anticristo, che è la trascrizione di una conferenza tenuta a Monaco nel 1966 e pubblicata soltanto nel 1990 (Lins-Verlag 1990), è stato ripreso recentemente, nell'edizione italiana appena citata, da Antonio Socci nel suo libro Il dio mercato, la Chiesa e l'Anticristo (Rizzoli, Milano 2019; vedi qui). Considerata la particolare attualità del saggio di Raffalt nella presente situazione spirituale, pubblichiamo qui di seguito una riflessione del p. Serafino Lanzetta comparsa in forma di recensione per la rivista Fides Catholica (Anno XIII. 1-2018).

Reinhard Raffalt
Reinhard Raffalt (1923-1976), scrittore, filosofo e musicologo tedesco, assistendo al crescere della confusione ecclesiale dopo il Concilio Vaticano II, nel 1966, scrive il suo Der Antichrist, opera che però verrà pubblicata postuma nel 1990. Andrea Sandri ne ha curato la traduzione italiana e l’ha corredata con una sapiente postfazione, nella quale s’illumina il contesto letterario in cui nasce L’Anticristo di Raffalt, offrendoci ad un tempo una chiave ermeneutica interessante a partire dal percorso filosofico e musicologico dell’autore. Il testo scritturistico che Raffalt prende maggiormente in considerazione nel suo saggio è quello di San Paolo ai Tessalonicesi:
Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio. (2Ts 2,3-4).
Una delle caratteristiche principali dell’Anticristo di Raffalt è l’egoismo; si tratta di un personaggio che ama se stesso e amerebbe anche il prossimo, ma per un amore egoistico di sé senza l’amore di Dio. Questo uomo che si finge di essere un novello Cristo metterebbe in pratica alla lettera le parole del Vangelo: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22,39), perché senza l’amore di Dio, ovvero senza l’altro comandamento: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22,37), tali parole diverrebbero un incitamento all’amore egoistico di se stessi. Scrive Raffalt: «L’Anticristo è un uomo che ama il suo prossimo come se stesso, ma non ha niente da amare più grandemente» (p. 20).

C’è un unico modo per smascherare questa figura funesta ed è la fede nel mistero del Verbo incarnato, Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Quantunque l’Anticristo rimanga ancora una figura teorica e al di là da venire, l’assenso di fede dato a Gesù Cristo quale Dio da Dio, fattosi uomo per la nostra salvezza, è determinante e rappresenta una presa di posizione di fronte a questo “padrone del mondo” per usare un’immagine cara a Hugh Benson. Il problema dell’Anticristo, dice Raffalt, è difatti la decisione dell’uomo per o contro Cristo, cioè per o contro il Dio personale (cf. pp. 28-29). L’Anticristo così funge da figura che mette l’uomo davanti alla scelta finale: per o contro il vero Dio. In questo senso è una figura provvidenziale quantunque nefasta.

Di più, a giudizio di Raffalt, la massima dell’Anticristo potrebbe essere questa: «Un uomo vero, pervenuto al senso di se stesso, è soltanto colui che vive secondo i fondamenti morali del Cristianesimo, senza credere nel Dio personale». Traslitterando queste parole in un senso più ecclesiologico potremmo dire: una Chiesa senza Cristo, espressione di un Cristianesimo senza Dio, come vorrebbe anche Hazel Motes, personaggio chiave di Wise Blood, romanzo della scrittrice americana Flannery O’Connor.

Reinhard Raffalt, L'Anticristo, Edizioni XY
Inoltre l’Anticristo di Raffalt è un «redentore negativo», cioè «deve emancipare l’umanità dal vincolo della creaturalità. Egli realizza la pace mondiale e pretende come prezzo la rinuncia all’immortalità dell’anima e lo smantellamento della personalità» (p. 31). Sarà un bravo addomesticatore di tutte le religioni, dei loro culti, sotto il segno dell’assenza di Dio. L’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islam, il Buddismo ecc., potrebbero unirsi senza alcuna difficoltà perché da ciascuna di esse si pretenderà di rinunciare alla definizione di Dio. Una religione morale ma senza Dio, dal volto policromo. Purché non derivi nessun danno all’ordine sociale e legale, tutto sarà permesso, ogni genere di capriccio e di passione.

 L’Anticristo che è un uomo, però, non si dà senza Cristo. Quindi implicitamente dovrà riconoscere l’unicità di Cristo e della sua religione. Anticristo è colui che nega Cristo e non Maometto o Confucio e con Lui la verità del Dio personale, mettendosi al suo posto. Dal Nuovo Testamento sappiamo che questo uomo anti-Cristo sarà un grande profanatore e farà della devastazione cultuale e misterica da lui avviata l’oggetto di una venerazione universale, una sorta di nuova religione dell’umanità. Tra le sue opere di devastazione, a giudizio di Raffalt, la profanazione per mezzo della bestemmia sarà quella principale. Infatti, nessuna profanazione, quale ad esempio il mercato, gli stimoli, il sesso, la psicoanalisi, la droga, la burocrazia, la rinuncia alla bellezza, è indice di un’essenza malvagia. Tra queste solo la bestemmia fa eccezione perché è direttamente contraria a Dio, al suo onore, al riconoscimento della sua precedenza su tutto e tutti. Perciò l’Anticristo sarà il bestemmiatore di Dio per eccellenza.

Solo nella bestemmia c’è tutta la malvagità pensabile e semplice ad un tempo (cioè non commista ad altro, come invece succede perché i fattori su elencati uniti e mescolati tra loro possano davvero nuocere estrapolati dal loro contesto naturale e veritiero). Nella bestemmia c’è tutta la malvagità della negazione e dell’offesa di Dio, ciò che invece non si dà pur se meccanizziamo il mondo, eliminando l’anima (cf. pp. 51-52). Scrive Raffalt: «Alla fine, quando si sarà compiuta la meccanizzazione del mondo, perfezionato l’accerchiamento dell’uomo, quando sarà stata assassinata la libertà, sarà svelato il mistero dell’iniquità e apparirà nella sua pura forma: come odio deliberato contro il Dio personale» (p. 52).

Raffalt infine vede l’Anticristo venire addirittura da Roma, scorgendo un legame simbolico nel baldacchino dell’altare papale di S. Pietro che il Bernini costruisce ispirandosi all’unica colonna superstite del Tempio di Gerusalemme, volendo così esprimere la continuità tra l’Antica Alleanza e la venuta del Messia. Proprio questa continuità, ispirata anche alle Letture di Newman (prima della sua conversione), darà modo a Raffalt di vedere l’uscita dell’Anticristo dal Tempio di Dio (come dice S. Paolo nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi, 2,3-4): l’iniquo prenderà il posto di Dio mettendo fine alla sinfonia romana.

C’è un legame forte tra Raffalt e Newman. Infatti Der Antichrist di Raffalt si ispira anche alle Letture del grande pensatore inglese. Bisogna fare però una precisazione importante. Raffalt scrive: «Non soltanto i nemici della Chiesa, anche alcuni suoi ardenti difensori, come ad esempio il Cardinale Newman, hanno messo in relazione i tempi ultimi di Roma con l’Anticristo e non hanno negato che il più grande nemico di Dio possa sorgere dalla stessa Chiesa» (p. 54).

In realtà, l’idea che Roma, pagana o cristiana, l’Antico Impero o la Chiesa Cattolica Romana come istituzione, saranno sempre sotto l’ira di Dio, era un pregiudizio che Newman nutriva sin dalla fanciullezza. Era convinto, a causa della sua formazione protestante, che il sistema ecclesiastico di Roma, essendo centrato sul Papa, fosse in effetti centrato sull’Anticristo. Molti anni dopo, Newman descriverà nella sua Apologia il lento processo di superamento di quel pregiudizio contro il sistema cattolico romano ispirato al protestantesimo. Dunque il Newman a cui Raffalt fa riferimento in questo contesto della romanità dell’Anticristo è ancora quello anglicano, precedente la sua conversione cattolica.

 A giudizio del B. John Henry Newman l’Anticristo è una persona singola che trova dei suoi precursori nel corso dell’intera storia. Nell’Apologia pro vita sua, il grande convertito descrive lo spirito del liberalismo come segno distintivo della venuta dell’Anticristo, il quale sarà anomos (senza legge) perché si leverà al di sopra del giogo della Religione e della Legge. Lo spirito dell’anarchia venne con la Riforma protestante e il Liberalismo è il suo fedele seguace.
Per Liberalismo Newman intende l’indifferenza dinanzi alla verità nell’ambito della religione. Il Liberalismo è difatti la visione del Modernismo secondo cui non c’è una verità religiosa assoluta e una religione vale l’altra. Ciò conduce a una grande perdita di fede: al posto dell’autorità ecclesiale che trasmette la verità della Divina Rivelazione si mette lo spirito del giudizio privato (private judgment). Dirà Newman che in tal modo il Liberalismo è una sosta a metà strada tra Roma e l’Ateismo. Per il B. Newman l’apostasia quale allontanamento da Dio e dalla sua Verità prepara senza dubbio la venuta dell’Anticristo (cf. 2Ts 2,3-4).

Dice così in un passaggio tratto da una sua Omelia di Avvento del 1835:

Il nemico di Cristo e della Sua Chiesa sorgerà da uno speciale allontanamento da Dio? E non c’è alcuna ragione di ritenere che questa apostasia si stia gradualmente preparando, realizzando, accelerando proprio in questi nostri giorni? In questo stesso momento, pressoché ovunque, in tutto il mondo, qui e là, in questo o quel luogo, più o meno alla luce del sole, ma comunque in maniera visibile e terribile in tutte le sue parti civilizzate e potenti non si compie infatti il tentativo di agire senza la Religione? […] C’è sicuramente ai nostri giorni una confederazione del male, che arruola le proprie milizie in tutte le parti del mondo, che si organizza, prende provvedimenti, avvolge la Chiesa di Cristo come in una rete e prepara la via a un’apostasia generale da essa. Se sarà questa apostasia a dare i natali all’Anticristo o se il suo avvento sarà ancora ritardato, com’è stato ritardato così lungamente, non possiamo saperlo. In ogni caso questa apostasia, tutti i suoi segni e i suoi mezzi, sono da ricondurre al Maligno e sanno di morte. Lungi da noi l’essere tra quelle persone semplici che rimangono irretite nella trappola che ci circonda! Lungi da noi l’essere sedotti dalle belle promesse nelle quali Satana è certo di avere celato il suo veleno! Pensi che egli nella sua potenza sia tanto sprovveduto da chiederti apertamente e direttamente di unirti a lui nella sua guerra contro la verità? Non è così. Egli ti offre le esche per tentarti. Ti promette la libertà civile, ti promette l’eguaglianza. Ti promette commerci e ricchezze. Ti promette la remissione delle tasse. Ti promette le riforme. È questo il modo in cui ti nasconde il tipo di lavoro al quale ti sta iniziando. Ti tenta convincendoti a opporti ai tuoi governanti e ai tuoi superiori. Egli fa lo stesso e ti induce a imitarlo. Oppure ti promette illuminazione. Ti offre conoscenza, scienza, filosofia, allargamento di vedute. Si prende gioco del passato, di ogni istituzione che lo veneri. Ti suggerisce che cosa dire, e poi ti ascolta, e ti elogia e ti incoraggia. Ti invita a salire. Ti mostra come divenire simile agli dei. E poi ride e si prende gioco di te, diviene tuo intimo. Ti prende per mano e mette le sue dita tra le tue dita, le tiene strette, e tu sei suo.
La nascita dell’Anticristo segnerà perciò la piena umanizzazione dei rapporti tra gli uomini come conseguenza della piena umanizzazione della Religione e della sua riduzione a fattore di fratellanza sociale e universale ma senza Dio, senza Cristo. Tutte le religioni saranno tollerate ma non quella di Gesù Cristo e così ci sarà un’opposizione alla Chiesa, un’anti-Chiesa, cioè un’istituzione umana che pretenderà di svilire quella divina, una tra le tante espressioni in una confederazione religiosa mondiale. Così si arriverà a una morale senza la Religione, perciò a una morale senza Dio, autonoma e relativista.

L’Anticristo sarà sconfitto dal soffio della bocca di Cristo che così lo annienterà. Con Cristo sopravvivranno solo coloro che non saranno stati sedotti da colui che nega il Cristo venuto nella carne, per farsi lui dio, ma senza più l’unico vero Dio, Nostro Signore Gesù Cristo. La battaglia quindi è tra Cristo e gli anticristi (i menzogneri) che di volta in volta appaiono (cf. 1Gv 2,18), fino al suo negatore finale, Der Antichrist. La fede e la carità vere sono il baluardo per non soccombere. 

Concludo queste riflessioni con l’Oratio dei Vespri del Venerdì di Quaresima (dopo il Mercoledì delle Ceneri) del Breviario Romano, la quale molto si addice al nostro tema: «Tuere Domine popolum tuum, et ab omnibus peccatis clementer emundas: quia nulla ei nocebit adversitas, si nulla ei dominetur iniquitas. Per Dominum nostrum…». La Liturgia ci fa chiedere al Signore di difendere il suo popolo e di purificarlo da ogni peccato, poiché nessuna avversità li potrà nuocere se nessuna iniquità li dominerà. L’Anticristo non potrà nuocere ai figli di Dio se non saranno dominati dall’iniquità del peccato, di cui egli è uomo e figlio.