"I Padri alessandrini, di cui si dice che grande fosse il debito verso la scienza pagana, non mostrarono certo né gratitudine né riverenza per i loro presunti maestri, ma sostennero la supremazia della tradizione cattolica" (John Henry Newman)
Commentari cattolici nel tempo della crisi della Chiesa
venerdì 14 marzo 2014
Il divorzio e i Kasper ante litteram. Un testo attualissimo di Romano Amerio
Proponiamo una riflessione di Romano Amerio a proposito del divorzio e delle sue conseguenza. Attualissima in tempi di sinodo sulla famiglia.
Nel 1974 il divorzio avendo raccolto il suffragio del popolo italiano, quel plebiscito non poteva non contenere la volontà generale della nazione e per essere seguito a un’estesa campagna di chiarificazione non poteva dissimulare il suo carattere anticattolico.
L’inimicizia dello Stato moderno verso la Chiesa non si era congiunta mai all’impugnazione del diritto naturale, di cui è principale presidio la Chiesa. Ma in età postconciliare la defezione nel 1974 dell’Italia e nel 1981 della Spagna ha consumato la pienissima emancipazione della società europea dalla sua base religiosa.
Ho menzionato al §89 la strenua difesa opposta dalla Chiesa alla violenza che il dispotismo dei prìncipi, annuenti non di rado le gerarchie nazionali, tentava di infliggere all’indissolubilità del coniugio. Qualche raro caso di deviazione dalla perpetua dottrina si può trovare in pubblicazioni anche di ecclesiastici nel secolo scorso, ma sempre denunciata e condannata. La desistenza dalla fermezza da parte della Chiesa si manifestò in Italia al tempo della campagna referendaria contro il divorzio, quando si videro non pochi preti parteggiare, tollerandoli i loro Superiori, per la dissolubilità; taluni vescovi condannare addirittura la partecipazione dei preti alla promozione del referendum contro il divorzio, e il Patriarca di Venezia dover rimuovere dall’officio l’assistente ecclesiastico degli universitari cattolici pronunciatosi pubblicamente per il divorzio. La desistenza apparve anche dal Protocollo firmato dalla Santa Sede col Portogallo in febbraio 1975 per riformare il Concordato del 1940. Mentre il patto precedente stipulava che in ossequio al principio dell’indissolubilità i coniugi cattolici rinunziano alla facoltà civile di chiedere il divorzio e che pertanto i tribunali della Repubblica portoghese non possono pronunziare il divorzio di coniugi canonicamente sposati, il Protocollo del 1975 si limita a richiamare ai coniugi cattolici l’indissolubilità e riconosce ai tribunali civili di pronunziare la dissoluzione del vincolo (OR, 16 febbraio 1975).
Minore diviene lo stupore per tale novazione se si considerano le dichiarazioni di taluni Padri del Vaticano II in favore della dissolubilità del vincolo. Erano vescovi della Chiesa Orientale soggetti all’influsso della disciplina matrimoniale della Chiesa ortodossa. Questa ammette il divorzio in diversi casi, tra cui c’è la colpa del coniuge che complotta contro lo Stato. Come questa disposizione indultiva della Chiesa ortodossa dipenda storicamente dalla servitù politica di essa nei confronti dell’Impero bizantino e dell’impero zarista, fu ben lumeggiato dal card. Charles Journet nella sessione CXXXIX del Concilio (OR, 1 ottobre 1965). L’intervento era una risposta alle suggestioni di mons. Elias Zoghbi, vicario patriarcale dei Melchiti in Egitto, affinchè si sciogliesse il nodo tra coniuge ingiustamente abbandonato e il coniuge colpevole. Avendo la suggestione eccitato uno smisurato scalpore nell’assemblea e nella stampa, il presule stimò doveroso dichiarare in un successivo intervento in Concilio che proponendo quella dispensa egli non intendeva affatto derogare al principio di indissolubilità (OR, 5-6 ottobre 1965). Ma viene ovvia la replica: non basta mantenere lessicalmente una cosa, quando poi si pretende farla coesistere illesa a un’altra cosa che la distrugge. L’attacco più spiegato all’indissolubilità fu però condotto dal Patriarca dei Melchiti Maximos IV che riprese con maggior impegno le proposte di mons. Zoghbi e raccolse in un volume gli interventi conciliari e le sue dichiarazioni extraconciliari. L’abbandono della dottrina non viene ovviamente professato come tale, ma proposto come una variazione della disciplina e non del dogma e come una soluzione pastorale. Si pone in capite libri l’indissolubilità, definita solennemente nel Tridentino oggetto di fede e che chiude la porta a ogni discussione. Ma poi con la sofistica propria dei neoteorici (vedi § 59) si viene a dire: «Dans l’Eglise catholique il se trouve des cas d’injustice vraiment rivoltante, qui condamnent des êtres humains, dont la vocation est de vivre dans l’état commun du mariage … et qui en sont empêchés san qu’il y ait de leur faute et sans qu’ils puissent humainement parlant supporter toute leur vie cet état anormal».
Agli argomenti del Patriarca si oppone la perpetua tradizione della Chiesa e , in linea teoretica, tutta la dogmatica cattolica. Non ci diffondiamo sul metodo bustrofedico proprio dei neoteoretici, di camminare in un senso concedendo localmente l’indissolubilità, ma poi volgersi tosto in senso opposto affermando la dissolubilità, come se le contraddittorie coesistessero. Le asserzioni del Patriarca oltrepassano il limite che divide la libertà teologica del dogma di fede e così vengono per obliquo a investire i principi della religione. Si rigetta infatti implicitamente il divario tra sofferenza e ingiustizia protestando che il coniuge innocente patisca dalla Chiesa un dolore ingiusto. Qui è implicata tutta la teodicea nonché la dottrina cattolica del dolore.
L’ingiustizia è evidente dal canto del coniuge che ha rotto la comunione, ma il Patriarca ne fa un’ingiustizia anche dal canto della Chiesa, la quale per tenersi fedele al principio evangelico non meno che al diritto naturale, non si arroga, di togliere quel dolore. Essa punisce il coniuge colpevole dell’ingiustizia, privandolo per esempio dell’eucaristia e infliggendogli altre diminuzioni dei suoi diritti, ma non fa prevalere mai il bene eudemologico al bene morale e alla legge. Anzi la base del cristianesimo è l’idea del Giusto sofferente e la religione non promette l’esenzione dal dolore mondano, ma dal dolore nell’altra vita e fa entrare il dolore in un ordine integrato della presente e della futura vita in una veduta essenzialmente soprannaturale. La posizione del Patriarca è naturalistica. Dio, secondo la fede, non conduce le cose del mondo in guisa che i buoni abbiano il bene mondano nel mondo, ma abbiano ogni bene dall’Ognibene nel fine.
La Chiesa non ha per fine peculiare la rimozione del dolore. Essa rifugge dalla tracotanza del filosofo antico che sentenziava: «nihil accidere bono viro mali potest» e da quella del moderno: «Quando si parla di un’azione buona accompagnata dal dolore si dice cosa contraddittoria». Gli uomini devono adoperarsi per rimuovere e punire l’ingiustizia, ma ciascuno vi è esposto indipendentemente dal suo stato morale, gli uomini soffrono perché sono uomini, non perché siano personalmente malvagi. Non entro nel discorso teologico che mostra ogni male umano dipendere originariamente dalla colpa. La religione non prende scandalo dalla sofferenza del giusto e non vi ravvisa un’ingiustizia, ma la vede sempre nell’ordine totale del destino e sempre associata a un sentimento prevalente di gaudio dato dalla speranza della beata immortalità: «feliciter infelices» secondo la formula di Sant’Agostino risuonante testi paolini. Il Patriarca prende il dolore come un’ingiustizia, anziché esperienza della virtù, partecipazione al Cristo, purificazione ed espiazione per i propri e per gli altrui peccati, e per di più trasloca la responsabilità dell’ingiustizia dal colpevole alla Chiesa incolpevole.
(Romano Amerio, Iota Unum, § 178)
martedì 11 marzo 2014
In memoria di Mario Palmaro
In loco pascuae me collocavit (Ps 22)
Domani 12 marzo alle ore 10,30 saranno celebrati nel Duomo di Monza con il Rito romano antico i funerali del "filosofo del diritto" (così si legge nell'annuncio funebre) Mario Palmaro.
Armonia ed eccezionalità contrassegnarono il percorso esistenziale di Mario Palmaro - l'armonia che è espressione della legge eterna che egli costantemente cercò, osservò e difese in famiglia, nell'attività di scrittore e apologeta cattolico, nella ricerca accademica dedicata a dimostrare il diritto di Dio sull'ordine creato, e l'eccezionalità che origina dall'inevitabile confronto tra questa armonia e un secolo che ogni verità vuole generalmente negare.
Sul limitare di armonia e di secolo ribelle visse Mario Palmaro senza mai cedere alle seduzioni dell'ultimo. Analizzò ogni attuale tentativo di distruzione dell'ordine naturale e descrisse con profondità di sguardo il nichilismo giuridico. Insieme all'amico fraterno Alessandro Gnocchi contemplò il passaggio della Chiesa al secolo, l'orribile assalto ai dogmi cattolici e l'ammutinamento della gerarchia cattolica. Trovò, con alcuni amici, nelle forme costanti della Tradizione e della Liturgia cattolica la tavola di salvezza nel mezzo del naufragio.
Chi fu vicino a Mario Palmaro nei giorni della sua malattia può affermare che la sua agonia e la sua morte furono, in un certo senso, liturgiche, una continua imitazione di Cristo. Non ci fu nei suoi ultimi giorni alcun risentimento, ma una generosa offerta di sé per la Chiesa cattolica, per la famiglia, i confratelli e gli amici. La sua morte fu quasi un processo osmotico giacché, attraverso una sofferenza pienamente accettata, passò finalmente all'elemento che già tutto lo colmava. Riposi in pace.
sabato 1 marzo 2014
La fine dei Francescani dell'Immacolata? La notizia di un piano per integrare i frati nell'Ordine dei Cappuccini
“Una delle problematiche centrali viene dalla minaccia di una certa autoreferenzialità, cioè nel desiderio di sottolineare a tutti i costi la propria peculiarità caratterizzante. Ritengo invece prova certa di maturità cercare di superare tale atteggiamento, riconoscendo con spirito umile e francescano l’edificazione della Chiesa come referente ultimo della propria esperienza carismatica”Queste parole che P. Fidenzio Volpi OFM Cap., il Commissario dei Francescani dell'Immacolata, scriveva nella sua prima comunicazione dell'estate del 2013, potrebbero rivelare nei prossimi giorni o mesi la natura di un vero e proprio testo programmatico.
Una fonte sicura ci fa infatti sapere dalla Germania che sarebbe allo studio il piano di fare confluire forzosamente i frati francescani dell'Immacolata nell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini cancellando di fatto e di diritto la Congregazione fondata da Padre Manelli.
Affidiamo in ogni caso alle preghiere di tutti coloro che ci leggono e all'intercessione della Santa Vergine la salvezza della Congregazione dei Francescani dell'Immacolata la cui opera per la restaurazione dell'ortodossia nella Chiesa ha dato grandi frutti e ha destato le speranze dei cattolici di tutto il mondo.
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