Reinhold Ljunggren (1920-2006) - Interno svedese |
Non pochi negli ultimi tempi hanno notato un doppio ed estremo disordine, nell’ambito della Chiesa e nell’ambito politico-sociale, quasi come ci fosse una causalità che dal primo giunge finalmente al secondo. Si tratta in ogni caso di una causalità spirituale, non verificabile con un metro positivo, e non sempre tanto univoca come potrebbe apparire. Se inizialmente un disordine a livello soprannaturale è destinato a ripercuotersi nella sfera dei rapporti naturali e storici, in concreto esistono reciproche influenze che non possono essere trascurate. Per esempio, la Chiesa seppe tener freno alla Rivoluzione francese e diede un decisivo contributo, negli anni successivi, al relativo ristabilimento di un ordine storico giusto. Ciò nondimeno si deve constatare che questa considerazione non esaurisce ogni prospettiva sulla causalità tra i due ambiti, se soltanto si pensa, rimanendo nell’esempio, che, da un canto, il pensiero rivoluzionario del XVIII si pose alla conclusione di un processo di autonomizzazione dalla teologia di filosofia, politica, diritto ed economia iniziato proprio all’interno della Seconda Scolastica e delle Università del tardo Medioevo, e che, dall’altro, l’Illuminismo secolare aveva compenetrato la società ecclesiastica di quello stesso secolo. La guardia al confine tra società ecclesiastica e società politica dovrebbe essere sempre un compito di chi conserva l’ortodossia nelle varie epoche, per impedire che l’errore religioso penetri nel mondo e che il pensiero del mondo penetri nella Chiesa con successive ricadute nel mondo.
Una posizione eterodossa, che nasce nell’ambito ecclesiastico progressista sotto il nome di teologia della liberazione, e che, per diverse vie, ha finito per estendersi al campo conservatore e “tradizionalista” confondendo religione e politica, è quella che fa coincidere la grazia e il suo conseguimento con la lotta politica di liberazione. In questo modo alla donazione della grazia, come processo interno all’uomo la cui iniziativa è esclusivamente di Dio, si sostituisce un’azione di liberazione come atto estrinseco dell’uomo, come una violenta appropriazione pelagiana della salvezza in una prospettiva ultimamente immanentistica. La rievocazione aberrante di episodi storici, intimamente legati alla professione della fede e all’obbedienza alla Chiesa, come la Vandea, il Sanfedismo, le insorgenze antirisorgimentali, le guerre carliste, il levantamiento spagnolo, la guerra cristera, si presenta oggi come l’affermazione di un grande sacramento politico nel quale salvezza sovrannaturale e libertà politica delle comunità storiche finiscono per confondersi con un grave pericolo per la fede e per le anime. Di fronte a questo fenomeno che coinvolge, con diversi gradi di consapevolezza, individui e gruppi e non rende giustizia alle esperienze del passato evocate, occorre distinguere la diversa natura dell’ordine nelle due sfere.
Nell’ambito propriamente politico si sono accumulati molti equivoci dei quali non cessiamo di essere vittime. Siamo, infatti, ormai abituati a pensare la politica come monopolio dell’ordinamento dello Stato. In realtà l’Occidente, dalle Opere e i giorni di Esiodo alla cameralistica settecentesca, passando per la grande esperienza medioevale dell’ordinamento feudale della terra, ha senza interruzione pensato, in quanto ontologicamente poste al centro degli ordinamenti politici ed economici, la casa e la famiglia su una porzione di terra come elementi di un’unica istituzione creata. Ogni casa è una piccola monarchia originaria retta da un pater familias, da un oikodespotes o da un Hausherr: le monarchie antiche sono costituite da casati sovrapposti a case e le democrazie antiche sono sempre confederazioni di case, in entrambi i casi con un costante diritto di secessione. Ancora nel XVII secolo il cameralismo era la scienza della gestione del patrimonio dello “stato” come patrimonio del casato. La Rivoluzione francese con la decapitazione di Luigi XVI mise (apparentemente) fine a questo sistema introducendo ingenuamente, in un primo momento, l’autogoverno degli individui (“fratelli” in quanto parricidi) e, poi, con il maggior realismo dell’abate Sieyès, il governo della rappresentanza della società nazionale dei “fratelli cittadini”. La chiusura necessaria fu la sovranità del legislatore che esclude tanto i ceti (le case, le famiglie, le professioni) quanto l’intervento delle potenze straniere (tra le quali certamente la Chiesa). Oggi, mentre la società nazionale dei “fratelli” si è dilatata, secondo la propria originaria logica economica (e finalmente tecnica), alla società globale, gli Stati si sono ridotti a enti di esecuzione locale delle decisioni del Governo mondiale dell’umanità e delle sue agenzie. Quest’ultimo esito, che costituisce evidentemente il superamento in atto dello Stato di diritto, introduce la realtà tirannica cui la crisi sanitaria ci sta abituando.
Andrea Sandri
Immagine: Reinhold Ljunggren (1920-2006) - Interno svedese