lunedì 21 settembre 2020

Pensare il mondo, non essere del mondo. Un breve e quasi inedito testo di Cornelio Fabro


Felix Timmermans - Merlo sulla Croce

Cornelio Fabro (1911-1995) è stato uno dei maggiori filosofi del Novecento. Il suo nome è legato ad opere storico-critiche di notevole rilievo speculativo, sia per quanto riguarda il pensiero di Tommaso d’Aquino, al quale ha dedicato la sua prima opera,
La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d’Aquino (1939), sia per quanto riguarda il pensiero moderno e contemporaneo, con i suoi studi su Sartre, Blondel, Jaspers e Heidegger, raccolti nel volume intitolato Dall’essere all’esistente (1957), e con il monumentale lavoro intitolato Introduzione all’ateismo moderno (1964), oltre ai numerosi studi su Georg Friedrich Wilhelm Hegel, del quale ha studiato in particolare la dialettica, e sul suo grande avversario Søren Kierkegaard, che Fabro considera "l’autore di tutta la vita" e di cui è stato traduttore e insuperato interprete. Di grande importanza sono anche le opere del teologo e filosofo friulano concernenti la filosofia cristiana e la teologia, tra le quali L’avventura della teologia progressista (1974), La svolta antropologica di Karl Rahner(1974) e Per un progetto di filosofia cristiana (1990). 

Nel breve testo che proponiamo qui di seguito – un quasi inedito, se si considera che è rimasto rinchiuso in una dispensa universitaria dell’Anno accademico 1966-1967 – Cornelio Fabro indica esemplarmente un conflitto, già colto da Kierkegaard, tra una visione moderna (kantiana ed hegeliana e ultimamente tecnica) che fa dell’uomo un momento del mondo come pensiero che si è fatto sistema assoluto e che ha la propria salvezza nella storia del mondo, e una comprensione dell’uomo il quale, in quanto si pone il problema del mondo, compie già un movimento di trascendimento del mondo, e dunque di libertà, che ha ultimamente il proprio motore primo nel “Primo Principio Creatore” ossia in Dio. Rimane alla volontà dell’uomo, in questa individuale anteriorità del suo pensiero al mondo di fronte all’oggetto ultimo del pensiero che è Dio, lo spazio, l’istante qualitativamente esistenziale della decisione - dell’øjeblik kierkegaardiano. In questo istante la cui realizzazione ultima, il cui mancato naufragio, è la grazia, l’uomo odierno può trovare la salvezza dal sistema tirannico e tentazionale che attualmente lo assedia. Ringraziamo il Professor Pasquino Ricci per la segnalazione del testo.

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Il primo problema nella tensione della crisi della ragione prima della fede, fuori dalla fede, è chiedersi “donde il mondo”? (Woher die Welt?) Perché se il mondo - questo è il problema tremendo - è prima dell'uomo, secondo l'ordine ontologico (lasciamo stare l'ordine del tempo), l'uomo è soltanto un momento del mondo, una parte del mondo, così che l'uomo viene travolto dal corso del mondo, dalla storia del mondo. L'uomo, invece, di fronte al mondo sente di essere qualcosa sì che appartiene al mondo, ma che non [é] DEL mondo: questo non essere DEL mondo è il suo ISTINTO DI VERITÀ, è la sua inclinazione a chiedersi la verità delle cose, e ciò è già trascendere il mondo. Il primo pensiero, il primo barlume, l'aurora della mente supera e trascende infatti qualsiasi realtà fisica del mondo. Perciò quando l'uomo si chiede "donde il mondo?", "perché il mondo?", l'uomo ha già diritto di mettersi "prima del mondo": ciò che è prima del mondo è il pensiero del mondo che è, in ultima istanza, non il pensiero dell'uomo, ma l'assoluto, il Primo Principio creatore.

da Cornelio Fabro, La crisi della ragione nel pensiero moderno, Anno accademico 1966-1967.

Segnaliamo, a latere, anche questo interessantissimo colloquio su Kierkegaard con p. Cornelio Fabro

 

martedì 8 settembre 2020

L'esperienza della Tradizione o la "Tradizione integrale"? Riflessioni sulla situazione attuale della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Un saggio di Don Angelo Citati


Uno dei pericoli più ricorrenti nella storia della Chiesa è certamente quello che si verifica quando un gruppo che le appartiene inizia a considerare se stesso rispetto all’intero corpo una “chiesa ideale” e a ritenersi, più o meno polemicamente, autosufficiente rispetto alla gerarchia divinamente istituita. Tale pericolo si fa particolarmente minaccioso quando la Chiesa è attraversata da una profonda crisi dottrinale e morale, perché l’isolamento appare fallacemente lo strumento più efficace per salvaguardare la costanza del modello ideale del quale ci si convince sempre più di essere la presente concretizzazione. “Quando la gerarchia sarà tornata alla Tradizione (ossia a ciò che noi concretamente siamo)”, si afferma, “non sarà più necessario alcun accordo”. E così si perde di vista la verità cattolica secondo cui la Chiesa, pur con la sua spesso insufficiente e aberrante gerarchia, la Chiesa che è sulla terra inevitabilmente una
societas permixta, è stata fondata da Cristo, ed è perciò, nella sua essenza, di Cristo, il Corpo mistico di Cristo di cui Cristo è il Capo e il Papa la pietra posta a fondamento dell’intero edificio. La persuasione antistorica di essere la “chiesa ideale” porta così nella storia alla rottura con le fonti della fede e all’inaridimento spirituale, dottrinale e liturgico. È questo il parametro teologico ed ecclesiologico del saggio con cui don Angelo Citati critica la posizione assunta dalla FSSPX come canone dei rapporti con Roma dopo l’elezione, nel 2018, del nuovo superiore generale, don Davide Pagliarani. La riflessione, che riguarda direttamente le decisioni e gli orientamenti della Casa generalizia di Menzingen, individua tuttavia una tentazione costante, la più insidiosa, di tutto il Tradizionalismo cattolico e si presta pertanto a una lettura di portata generale e a essere un caveat per ognuno. Sono naturalmente fatti salvi i grandi meriti trascorsi e attuali della FSSPX in tutto il mondo, ed è perciò ancor più grande la preoccupazione. Don Angelo Citati, che è stato sacerdote della FSSPX, ha scritto il saggio in esame su richiesta dei superiori della FSSPX per illustrare in modo chiaro e sistematico i suoi dubbi sull'attuale linea della Fraternità. 

Pubblichiamo qui (in italiano), preceduto da un breve messaggio di don Angelo, il testo integrale, nella convinzione dell’utilità e dei benefici della sua lettura.


Messaggio di don Angelo Citati 

Da circa due anni ho delle perplessità sull’attuale linea della Fraternità Sacerdotale San Pio X, l’istituto da cui ho ricevuto la mia formazione e l’ordinazione sacerdotale (2016). Su richiesta del Superiore generale, ho messo le mie perplessità per iscritto. Il frutto di questo lavoro è il documento qui allegato ( « L'esperienza della Tradizione o la “Tradizione integrale”? Riflessioni sulla situazione attuale della Fraternità San Pio X » ), consegnato alla Casa generalizia nel mese di aprile 2020. In seguito, pur senza fornire alcuna risposta nel merito delle obiezioni di questo testo, il Superiore generale e i suoi assistenti mi hanno detto espressamente che le posizioni espresse in questo documento non sono compatibili, a loro avviso, con l’esercizio di un apostolato all’interno della Fraternità San Pio X. Ho quindi deciso di lasciare la Fraternità San Pio X e di rivolgermi alla Fraternità Sacerdotale San Pietro, che ringrazio di cuore per aver accettato di accogliermi nella loro bella comunità. Al tempo stesso desidero esprimere la mia riconoscenza e la mia gratitudine alla Fraternità San Pio X per tutto il bene che ho ricevuto da essa, che, nonostante le divergenze, rimarrà sempre una parte essenziale di me. Ringrazio anche il sito Vigiliæ Alexandrinæ per aver gentilmente pubblicato il documento qui allegato, che contiene, dunque, le ragioni che mi hanno spinto a prendere questa decisione. 

8 settembre 2020, 
Don Angelo Citati+

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L'esperienza della Tradizione o la "Tradizione integrale"? Riflessioni sulla situazione attuale della Fraternità Sacerdotale San Pio X.

di don Angelo Citati

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