Dale Nichols - Arizona's Twilight,1934 |
Se l’unica o almeno l’ultima autorità, nella tarda modernità dei diritti è assegnata, non per un abuso contingente ma per necessità, alle leggi e alle corti costituzionali, essa non può che agire minando le politiche e dissolvendo le società che incorporino autorità e in quanto la incorporano.
Una costatazione che si accompagna a un’altra costatazione secondo cui «l’intero “munus” imperativo (ovvero la cura dell’unità politica) è con la secolarizzazione (ovvero con la crisi della cristianità nell’età moderna) depositato nelle mani dei giuristi». Poiché si tratta qui evidentemente dei "giuristi curiali" del principe-Stato, ancora una volta De Marco legge parzialmente Schmitt che certamente individua nel “sileant theologi in munere alieno” di Alberico Gentili uno snodo fondamentale nella formazione dello Stato moderno, ma attribuisce, su un fronte opposto, allo jus non statale di Friedrich von Savigny (si veda il saggio di Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, Pellicani, Roma 1996) e della sua scuola il compito di una forza frenante, di un katéchon appunto, all’interno di quello stesso processo formativo dello Stato in fondo al quale c’è il detto di Julius von Kirchmann: «I giuristi sono diventati, tramite la legge positiva, come vermi che vivono soltanto di legno marcio», mentre «tre parole del legislatore bastano a trasformare intere biblioteche in carta da macero» (J. H. von Kirchmann, Die Wertlosigkeit der Jurisprudenz als Wissenschaft, Muntius Verlag, Heidelberg 1988, pp. 28-29). Oggi il processo è persino oltremodo avanzato, poiché al legislatore che uccide il diritto è subentrata un’amministrazione materiale, la così detta governance, che pretende di indirizzare le società attraverso interventi puntuali e condizionanti, difficilmente sussumibili sotto qualche diritto anche soltanto legislativo, e perciò non processabili. L’armamentario dei dpcm, del lock-down e ultimamente del green-pass si inquadra in questo fenomeno al di là della sua occasione concreta.
Letta in questo contesto evolutivo, l’affermazione di De Marco sulla necessità del sistema statale come «l’ultima autorità … assegnata, non per un abuso contingente ma per necessità, alle leggi e alle corti costituzionali» appare persino superata, mentre doppiamente minacciosa nella sua attualità risulta la seconda parte della proposizione: «Essa non può che agire minando le politiche e dissolvendo le società che incorporino autorità e in quanto la incorporano». Qui allora l’affermazione della/e libertà può essere letta come dissoluzione libertaria soltanto nel quadro di una recidiva metafisica (o teologia) dello Stato, che De Marco sembra fare propria. In realtà e in un senso opposto, si tratta ancora una volta dell’affermazione dello jus come katéchon di fronte alla perfezione tecnica del Leviatano. Affermare il diritto è un esercizio di katéchon. Si tratta di un’insorgenza della storicità degli individui e delle famiglie come tempo non riducibile al normativo e come ricettacolo costante di istituti giuridici tradizionali e naturali. È la politica antica, come appena descritta, che si riprende i propri spazi, l’ontologia che forza la fantasmagoria statale. Un ordine politico libero (epperò autenticamente giuridico) e non statale, e in questo senso, se si vuole, anche libertario, che si affianca naturalmente (e non in maniera contraddittoria, come soltanto potrebbe fare lo Stato, secondo le conclusioni di De Marco) al più grande Katéchon costituito dalla Chiesa e dalla Cristianità. Qui la decisione sui vaccini cesserebbe di essere una minaccia sovranamente incombente.