Dopo l’abdicazione di Benedetto XVI, preceduta in Joseph Ratzinger da un apparente “esaurimento delle energie” durante gli ultimi anni del suo pontificato, e dopo l’(almeno) apparente cambio di rotta in Vaticano con l’elezione di Francesco, seguì in molti di coloro che (ri)scoprirono la liturgia antica e la Tradizione (non solo liturgica) con l’emanazione del Motu proprio Summorum Pontificum, una sorta di catastrofe spirituale che mutò negli animi il segno della fiducia riposta in un rinnovamento tradizionale della Chiesa e nella regola stabilita da Benedetto XVI: la tradizione liturgica non può essere abrogata. Tutto ciò con un effetto destabilizzante, indeducibile sul piano della fede, ma reale nel pensiero di molti “tradizionalisti”, presto accompagnato dalla disperazione nei confronti del papato stesso e della Chiesa. Il vuoto psicologico del papato ha portato tra numerosi fedeli della Tradizione (spesso soprattutto tra quelli che la scoprirono in seguito al Summorum Pontificum) a tre conseguenze concatenate che qui è opportuno descrivere anche nel loro pericoloso prodotto storico.
La prima conseguenza può essere definita una crisi o tentazione luterana del “tradizionalismo” (vedi già qui), e in qualche modo aderisce immediatamente alla causa. Molti “tradizionalisti”, che assistono alle reiterate iniziative “anti-tradizionali” del nuovo “pontificato bergogliano”, sono portati – di sovente complice la loro condizione di “neofiti” – a confondere in ogni caso Simone con Pietro e a ridurre quest’ultimo a una nullità morale priva di ogni auctoritas, nonostante le promesse del Signore (Mt 16, Lc 21). Siffatta conclusione porta - ben al di là del sedevacantismo classico che continua ad affermare, seppur problematicamente, l’esistenza, benché vuota, di una sede petrina e di una ecclesiologia cattolica – a un vuoto che generalmente è connotato dalla quasi completa assenza della visibilità della Chiesa e dalla sensazione di trovarsi in un tempo apocalittico in cui il cristiano non può che determinarsi autonomamente con la propria azione.
La seconda conseguenza deriva direttamente dalla prima. Nel vuoto apocalittico, in cui si è dissolta psicologicamente la Pietra di Pietro e si crede ogni giorno di cogliere la parusia dell’Anticristo, si ritiene di poter realizzare l’unica dimensione ecclesiale “tradizionale” possibile tramite la formazione di gruppi di “fedeli alla tradizione” attorno ad alcuni personaggi carismatici che vantano esperienze e conoscenze teologiche e storiche particolari (spesso si tratta di sedicenti “professori”). Poiché il neo-tradizionalista vive più spesso di stati d’animo e della sensazione (non del tutto infondata) che le cose nel mondo stiano andando davvero male, la “predicazione” (per lo più via rete) di queste guide soddisfa il suo bisogno di un minimo di giustificazione storica e dottrinale. Il problema in questo contesto è che, una volta liquidata l’autorità di Pietro e il magistero della Chiesa, la posizione tradizionale si muta immediatamente, come immediatamente avvenne nella Riforma protestante, in una posizione intellettuale, solitamente contrapposta in maniera polemica alle posizioni di altri gruppi e soprattutto a tutto ciò che fa e dice la Chiesa cattolica “ufficiale”, ormai liquidata come “neochiesa”. Ci si dimentica allora che il Cristianesimo non è principalmente un sistema di pensiero, bensì una realtà istituzionale e ordinata, divinamente costituita dal Verbo incarnato per la salvezza dell’uomo.
La terza conseguenza appartiene a questa svolta del “tradizionalismo” nell’immanenza del pensiero e dell’ideologia, anche se si tratta per lo più di un’immanenza banale e, in definitiva, settaria. Benché nella pratica il “neo-tradizionalista”, che ha perso ogni riferimento alla costituzione e alla gerarchia della Chiesa, continui a frequentare una Messa e ad accedere ai sacramenti, egli polarizza il proprio bisogno di grazia e di salvezza all’interno del gruppo di appartenenza che garantisce non soltanto una “predicazione” appagante, ma, insieme ad essa, anche modalità di salvezza che si risolvono spesso nella lotta emozionante e liberatoria contro i grandi mostri “politici” attuali: il supercomplotto, il grande reset, il governo mondiale, la congiura delle multinazionali e della massoneria etc. La frontiera della Tradizione viene così spostata dalla vita sacramentale e sovrannaturale, che passa in secondo piano, alla lotta di liberazione del mondo dal grande complotto. E la grazia finisce per collocarsi del tutto esteriormente in questa lotta, non senza connotazioni che, nonostante le suddette premesse luterane (in realtà le eresie finiscono sempre per esibire la loro reciproca organicità), possono senz’altro definirsi pelagiane: la salvezza deve essere afferrata dall’uomo nella militanza. Non si vuole qui negare l’esistenza storica e attuale dei grandi mostri “politici” e la necessità di opporsi a essi, ma semplicemente constatare che l’evento della grazia e della salvezza viene vieppiù ridotto estrinsecamente alla lotta per la liberazione, invece di esserne il presupposto interno,come è il presupposto interno di molte altre buone opere, e ci si accorge vieppiù di trovarsi di fronte a una teologia della liberazione giocata politicamente “a destra”.
A mo’ di excursus, per constatare l’analogia tra un “cattolicesimo tradizionale” polarizzato sulla lotta contro il complotto (mondialista, vaccinista etc.) e la teologia progressista della liberazione vale qui la pena riportare un’analisi critica di quest’ultima svolta dal Cardinal Leo Scheffczyk a partire soprattutto dalla teologia di Gustavo Gutiérrez: per il teologo peruviano, scrive Scheffczyk, “la liberazione dal peccato avvenuta per mezzo di Cristo è ‘contemporaneamente’ (si potrebbe anche dire senza interpretare erroneamente: ‘co-essenzialmente’) una liberazione da ‘sfruttamento, ingiustizia e odio’. Da ciò consegue che la redenzione (ossia la donazione della grazia) si realizza sul piano economico, politico e culturale nei processi esteriori della storia. L’accadere della redenzione è un movimento iniziato per lo stabilimento di una società giusta alla quale partecipa chiunque ‘lotti contro lo sfruttamento’. L’affermazione secondo cui redenzione ed elargizione della grazia sono un interiore evento salvifico personale (naturalmente non senza conseguenze ed effetti nell’ambito storico-sociale), non ha qui più alcun peso” (Leo Scheffczyk, La realizzazione della salvezza nella grazia, Lateran University Press, Città del Vaticano 2019, p 253).
La breve esposizione di questo fenomeno, che per la sua specificità e novità può essere definito “neo-tradizionalista”, trova in Italia un esempio concreto nella Confederazione dei Triarii il cui fondatore è lo storico Massimo Viglione. Basta un’attenta considerazione delle conferenze e dei testi diffusi da questa presenza neo-tradizionalista per constatare che essa riassume in sé, seppure talvolta sottotraccia, i tre momenti appena delineati: la negazione della Chiesa visibile, la riduzione dell’ordine ecclesiastico all’organizzazione del gruppo di riferimento e l’impostazione politico-apocalittica culminante nella malcelata elevazione dell’azione politica a “grande sacramento” di liberazione. Duole vedere che i Triarii, soprattutto attraverso la televisione in rete Triarii Web TV, che raggiunge un considerevole numero di persone in cerca della Tradizione cattolica, sono riusciti a coinvolgere intellettuali che, al contempo, continuano equivocamente a operare nel contesto “classico” del movimento italiano impegnato nella difesa della Tradizione cattolica. Esemplare è il caso del filosofo del diritto Giovanni Turco e quello del professore liceale Matteo D’Amico, tuttora attivi nelle iniziative culturali della FSSPX italiana i cui superiori non sembrano avvedersi della gravità della situazione. Ma anche quello del vaticanista e scrittore Aldo Maria Valli. Tutto ciò è pericoloso, perché cospira al deragliamento del mondo della Tradizione cattolica in Italia - che negli anni si è mantenuto insistentemente, nonostante avversità, ostacoli e inciampamenti nella costituzione divinamente data della Chiesa cattolica - verso territori nei quali lo scisma e l’eresia non sono una semplice evenienza.
Qui, più che nell’incidente di un chiacchierato collaboratore, ultimamente si colloca il problema di un vescovo, Monsignor Carlo Maria Viganò, che, forse anche per generosità e zelo, negli ultimi tempi sembra essersi avvicinato ai Triarii e al prepotente ambiente neotradizionalista. Don Curzio Nitoglia, un chierico vagante materialmente vicino a una parte della FSSPX italiana e noto per essere un convinto teorico del complotto, ha affermato in questi giorni che de Mattei non soltanto ha offeso un Arcivescovo cattolico, ma anche l’intera “associazione” (sic!) di cui è "il capo", la “Resistenza antimodernista e antimondialista”. Saprà Monsignor Viganò smentire le parole di don Curzio Nitoglia e raggiungere i cattolici fedeli alla Tradizione per essere Vescovo in mezzo a un popolo cattolico reale che chiede fede, sacerdoti, Messa e sacramenti?
Andrea Sandri