"I Padri alessandrini, di cui si dice che grande fosse il debito verso la scienza pagana, non mostrarono certo né gratitudine né riverenza per i loro presunti maestri, ma sostennero la supremazia della tradizione cattolica" (John Henry Newman)
Commentari cattolici nel tempo della crisi della Chiesa
sabato 26 aprile 2014
La spada di San Paolo e il telefono di Papa Francesco. Breve nota sulla telefonata di Francesco a Pannella
Donoso Cortes sosteneva, con una profondità di sguardo del tutto inattuale e oggi persino scandalosa, che l'abrogazione legale della pena capitale nei singoli Stati avrebbe portato ad altrettante stragi degli innocenti. Tale affermazione, con buona pace dei nostri contemporanei, ha la propria logica cristiana nel capitolo XIII della Lettera ai Romani dove l'Apostolo, dopo avere raccomandato di "stare sottomessi alle autorità costituite, perchè non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio", afferma che, se si fa il male, bisogna temere, "perchè non invano essa [l'autorità] porta la spada" ed "è al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male". Si potrebbe dire, ed è questo in fondo il senso recondito dell'osservazione di Donoso Cortes, che l'autoritá è da Dio nella misura in cui può utilizzare la spada, perchè ciò è proprio quello che è proibito all'uomo: "Non uccidere", "Non giudicare". La spada è sempre un ministero divino. Un'autorità umanizzata tende a mutarsi in un'opera cainitica. Già Sant'Agostino scriveva che "remota itaque iustitia sunt regna nisi magna latrocinia".
L'umanizzazione dell'autorità, che altro non è se un momento fondamentale della più vasta secolarizzazione, ha realizzato pienamente la profezia di Donoso e l'affermazione del Vescovo di Ippona: al trionfo dei partiti abolizionisti ha sempre, presto o tardi, fatto seguito una legislazione abortista, l'assassinio della vita innocente nelle sue diverse (e aggiornate) forme.
Marco Pannella ed Emma Bonino sono stati in Italia, non senza la complicità di partiti laici, socialisti e sedicenti cristiani, i principali fomentatori dell'umanizzazione dell'autorità (non solo statale, ma anche corporativa e familiare) e i fieri sostenitori dell'aborto di Stato sempre propagandato con la stessa fierezza con cui chiedevano all'autorità di essere debole. La parola "amnistia", per la quale sta lottando Marco Pannella, è diventata oggi, al di là di ogni considerazione sulle condizioni carcerarie, l'ultima assoluzione per chi "opera il male". L'abbattimento della spada a favore della violenza generalizzata. Risulta che Pannella e Bonino, oltre che all'aborto, siano stati negli ultimi anni favorevoli a pedofilia (Marco Pannella ha più volte accusato gli italiani di essere un popolo "pedofobo"), sodomia, eutanasia, ricerca sugli embrioni, guerre ingiuste.
È di ieri la notizia (vedi qui) che Papa Francesco ha telefonato - forse sollecitato da Emma Bonino - a Marco Pannella degente in seguito a un aneurisma presso il Policlinico Gemelli. Il telefono ha squillato e la conversazione è durata venti minuti. Secondo quanto riferito dallo stesso Pannella, i due avrebbero parlato soprattutto di "amnistia". "Ma sia coraggioso, Eh!!! Anche io l'aiuterò, contro questa ingiustizia..", avrebbe detto Bergoglio a Pannella.
giovedì 24 aprile 2014
El manípulo contra la acedia de la Iglesia. Un recentísimo escrito de Alessandro Gnocchi
Pubblichiamo per i nostri lettori di lingua spagnola la bella traduzione dell'articolo di Alessandro Gnocchi - da noi riportato con il titolo Il manipolo contro l'accidia della Chiesa - curata da Flavio Infante per il blog argentino In Expectatione che raccomandiamo particolarmente per la ricchezza e l'intelligenza dei contributi.
mercoledì 23 aprile 2014
The Ultramontanist's Progress. Analisi di un'eresia conservatrice
È finalmente notevole e inaspettato il ritorno di questo tipo intellettuale nelle pagine dello Sviluppo organico della liturgia del benedettino Alcuin Reid, uno studio importante e assai approfondito sulla storia del Movimento Liturgico che durante cinquant'anni tentò in vario modo di affrontare il problema della "actuosa partecipatio" dei fedeli alla liturgia fino a consegnare i frutti ultimi di un lungo percorso ai riformatori postconciliari. Uscito negli Stati Uniti con una prefazione elogiativa del Cardinale Joseph Ratzinger, il volume è stato recentemente pubblicato in italiano dalla casa editrice Cantagalli (Lo sviluppo organico della liturgia, Siena 2013, pp. 432).
Reid, seguendo da vicino l'idea newmaniana di uno "sviluppo dottrinale" mai dominato dallo "sviluppo politico" e storico, pone il principio sufficientemente rigido dello sviluppo organico della "tradizione liturgica oggettiva" e con esso vaglia gli autori e le fasi del Movimento Liturgico.
Interessante e feconda, anche per il giudizio sull'attualità, è l'individuazione precisa e in più occasioni ribadita dei due principali nemici della tradizione liturgica ossia dell'archeologismo e dell'esigenza pastorale - gli stessi principi che Ratzinger definisce nella prefazione, con un'espressione che è più che una condanna, gli "unholy twins". Secondo lo schema già messo a punto dal liturgista gesuita Joseph Jungmann i due "empi gemelli" sono perfettamente identici, giacché, se ciò che è primitivo è necessariamente semplice, ciò che è semplice soddisfa meglio alle esigenze dell'uomo moderno ed è eminentemente pastorale.
Archeologismo e pastorale hanno bisogno a loro volta di due attori, la scienza liturgica che individua con indubitabile metodo e certezza ciò che è antico, e l'autorità del Pontefice che in nome dell'antichità e della pastoralità attua la riforma. Reid, che mette in più occasioni in evidenza il pericolo di trasformare la tradizione liturgica oggettiva in un'antichità prodotto del metodo scientifico, si sofferma anche sul problema dell'autorità. Secondo la regola cattolica dell'evoluzione omogenea l'autorità, anche quella del Pontefice, non dovrebbe essere più che un'istanza declaratoria, quand'anche in senso evolutivo (dall'implicito all'esplicito), del contenuto oggettivo della Tradizione, qui della Tradizione liturgica indissolubilmente legata alla tradizione dogmatica (lex credendi lex orandi). Ciò considerato, risulta innovativa, e, alla luce degli sviluppi successivi, persino funesta, l'assenza del vincolo della Tradizione nell'Enciclica Mediator Dei di Pio XII, ossia la possibilità dell'idea che debba considerarsi tradizionale ogni forma liturgica soltanto in quanto approvata da un Pontefice. È a questo punto che emerge la presenza, nella Chiesa degli anni Cinquanta e Sessanta, di una corrente che approfitta con una certa disinvoltura della lacuna della Mediator Dei e che Reid definisce, in maniera del tutto azzeccata, "ultramontanista".
Se si volesse tracciare la genealogia ideale e interna, e non soltanto politica, più risalente dell'ultramontanismo, bisognerebbe forse rivolgersi a quegli zelanti gesuiti di Salamanca, magistralmente rievocati da Owen Chadwick in un capitolo dell'imperdibile From Bossuet to Newman (University Press, Cambridge 1957), i quali pretendevano di poter trarre conclusioni dogmaticamente certe da premesse dogmaticamente incerte quando queste ultime fossero state soltanto confermate dall'autorità. È evidente che in questo modo si sostituiva la voluntas dell'autorità alla immutabilità della Tradizione. Dopo alcuni secoli la lettura sovranista dell'infallibilità, che vieppiù si intrecciava con le categorie positivistiche del Diritto pubblico degli anni '60 del XIX secolo e fu sconfitta durante il Vaticano I insieme alle opposte correnti antiinfallibiliste capeggiate da Döllinger, riassunse l'essenza stessa dell'ultramontanismo ottocentesco secondo il proprio concetto classico. Tale lettura forse poteva giustificarsi storicamente, ma non sul piano dottrinale, come estremo rimedio al movimento rivoluzionario, socialista e liberale, scaturito dal 1848. E non stupisce che tra gli ultramontanisti ci fossero uomini come Donoso Cortès, il Cardinal Manning, Padre William Faber, l'Abbé Migne, il cui servizio reso alla Chiesa cattolica e alla maggior gloria di Dio non può essere affatto discusso.
L'odierno ultramontanismo, descritto da Reid nella sua fase geminale, non pretende più di affrontare la rivoluzione mondiale con la forza irriducibile e occasionalistica della decisione sovrana che frena la rivolta sociale proprio dal momento che non si consegna ad essa. L'idea neo-ultramontanista di rinsaldare in un unico sistema di riforma gli "unholy twins" - oggi evidentemente più di due - con la volontà del Vescovo di Roma, mentre le forme stesse dell'infallibilità sembrano dileguare nell'incertezza positivistica dell'uniformità del comando, insegue piuttosto la rivoluzione mondiale dal momento in cui la pastoralità (uno degli "empi gemelli") è divenuta coerentemente regola fondamentale degli atti della Chiesa. Un primo nefasto risultato è la distruzione formale (a suon di decreti) del culto alla quale ogni cattolico assiste. Così il nuovo ultramontanismo si fa ogni volta più radicalmente sostenitore dell'autorità del Papa quanto più questa aumenta il proprio potere mutandosi in esso ed erodendo il fondamento della Tradizione, quanto più abbandona il "recinto di Pietro" e del papato esponendo la propria debolezza. Si potrebbe dire che il novello ultramontanista difende piuttosto il potere del Papa, giacché il prezzo è l'autorità.
Si assiste così a un'obbedienza che da razionale si fa occasionalista per diventare, infine, irrazionalista: "I tempi sono cambiati, l'ha detto il Papa!". Del fatto che i vecchi nemici della sovranità pontificia siano oggi i più coerenti ultramontanisti, non c'è da stupirsi, proprio perché la svolta pastorale del Concilio Vaticano II allaccia l'ufficio petrino (non la sua intima essenza naturalmente) alla locomotiva hegeliana della storia, dell'economia e del progresso umano. Meno scontata appare invece la posizione dei conservatori odierni, il cui vasto spettacolo in Italia è notoriamente recitato da Massimo Introvigne, don Piero Cantoni, p. Giovanni Cavalcoli, Andrea Tornielli e dal numeroso coro di CL. Come gli antichi gesuiti di Salamanca, tutti questi signori han perduto ormai da tempo la riverenza e il senso della cattolica verità delle premesse accontentandosi di una suprema volontà. Non c'è più argomento, San Tommaso è morto, è morto il sillogismo.
sabato 19 aprile 2014
¡Dios no muere! La solitudine del Signore e il nostro zelo amaro
“Diminutae sunt veritates a filiis hominum”, sono diminuite le verità tra i figli degli uomini (Salmo 11).
Vi sono epoche storiche in cui questo accade più che in altre. Vi sono epoche in cui il potere di questo mondo, ogni potere di questo mondo, politico, economico, intellettuale, non solo non cerca Dio, non solo non lo teme, non solo non ne ha rispetto (almeno rispetto): non ne ha neppure pietà. Vi sono epoche in cui è più forte e nitida la consapevolezza che l’ingiustizia del sinedrio e la barbarie del Calvario non avranno fine sino a che il Divin Giudice non tornerà per ristabilire per sempre ogni Giustizia.
Oggi assistiamo ad un orrenda offensiva del peggior radicalismo occidentale contro ogni ordine sociale. L’offensiva colpisce ogni istituzione sociale fondata nella realtà eterna e nell’aevum di Dio: la famiglia, il lavoro, la comunità. La proiezione internazionalistica di questo monstrum ci sta probabilmente spingendo verso scenari sempre più plausibili di guerra, e di guerra ingiusta, mostrando così ancor più la sua spregiudicatezza ideologica.
Non è necessario essere più espliciti: ogni amico di Cristo non ottenebrato dall’ottundimento della propaganda del pensiero dominante sa di cosa si sta parlando. I nemici di Cristo lo sanno senz’altro benissimo.
Quando capitano epoche di questo genere, conservare e difendere la verità di Dio è un dovere, ma anche un’impresa decisamente straordinaria, impossibile senza un soccorso soprannaturale. Vivere secondo Dio e difendere i Suoi diritti mentre il mondo intero afferma costantemente, in modo più o meno subdolo, il contrario. Vivere secondo Dio e difendere i Suoi diritti senza tutti gli aiuti che Dio stesso ha voluto donarci nell’ordine naturale: restare cattolici e farne di altri (allevare figli cattolici, curare parrocchiani, etc.) senza l’aiuto di vere famiglie cattoliche, di vere scuole cattoliche, di vere comunità cattoliche. Per non parlare della politica, dell’economia, della cultura. Insomma, conservare Dio nell’anima e fare le sue opere mentre tutto il mondo intorno a noi cerca di strapparcelo per sempre. Oggi sappiamo quale diabolica velleità si nasconda dietro ogni contemporanea “scelta religiosa”. La contrapposizione tra “interno” ed “esterno”, ma in fondo la sua stessa tematizzazione, è un vecchio artificio che il demonio usa da circa cinquecento anni per consegnare le società al dispotismo di poteri politici senza Dio e uccidere la fede nella anime.
Sono di una profondità che davvero colpisce alcune riflessioni svolte da Gustave Thibon per mostrare le conseguenze della patologica scissione tra morale e costumi: “La crisi morale che tutti oggi accusano a gara è soprattutto una crisi dei costumi. Il peccato emigra sempre più fuori del luogo suo proprio (la coscienza e la libertà individuale) per installarsi, da una parte nel dominio della vita collettiva (regimi politici e climi sociali malsani), e dall'altra in quello della vita incosciente e quasi organica (nervi scossi, istinti pervertiti, ecc.). La zona del male propriamente morale rimpicciolisce sempre più, di modo che il moralista non sa più bene dove finisca il suo compito e dove cominci quello dell'uomo di Stato o del medico. Non ignoriamo che una simile deviazione dei costumi costituisce un clima ideale per il sorgere delle vocazioni eroiche; essa fa nascere per reazione degli esseri la cui purità morale risale la corrente dei costumi e crea una nuova salute tutta fondata sulla coscienza e sull'amore, tutta spinta verso la vetta dello spirito. Si pensi per esempio in quali condizioni biologiche e in quale atmosfera sociale venga oggi a trovarsi il dovere elementare della procreazione e quali tragici ostacoli debba talvolta superare. Ma uno stato di cose che tende, per così dire, ad appendere la sanità alla santità, non procede mai senza pericoli (abbiamo già visto quali); in ogni caso, esige una forza e una grandezza d'animo che non sono nelle possibilità dell'umanità media. Ogni sistema sociale che contribuisce a rendere necessarie, per la maggioranza degli uomini e nella condotta ordinaria della loro vita, virtù essenzialmente aristocratiche, si rivela appunto per questo malsano. Quanto alla pseudo-democrazia nata dallo spirito dell'89, essa aggiunge alla malvagità l'assurdità: fondata teoricamente sulla giustizia e sull'amore verso le masse, finisce per imporre praticamente agli individui di queste povere masse, se vogliono compiere il loro umile dovere, un eroismo che sarebbe appena ragionevole chiedere a non sappiamo quale pusillus grex evangelico. Se si cerca la ragione segreta della spaventosa temerità con cui gli spiriti rivoluzionari sconvolgono tradizioni e costumi che hanno fatto buona prova, la si trova in questa illusione 'angelica' che la moralità può e deve bastare a sostituire i costumi distrutti. Ma non v'è peggior misfatto sociale che forzare le masse sulle orme della santità ...” (Diagnosi).
In certe epoche è fondamentale un atteggiamento: non cercare scorciatoie. Ogni tentazione di giungere presto alla metà, di voler vedere la vittoria già nel tempo, porta con sé il rischio non secondario di venire a patti con il mondo, anche solo per sottrarsi a quella terribile sensazione di solitudine che prima o poi il vero cristiano prova nella vita. Non ci sono scorciatoie: il Signore è morto solo sulla Croce. Basti per tutti l’esempio, mostrato da un recentissimo articolo di don Curzio Nitoglia (vedi qui), di Joseph de Maistre, campione della contro-rivoluzione, che in fondo, da quanto risulta dall’analisi di don Curzio, non avrebbe mai abbandonato l’idea di un accomodamento tra Dio e il mondo, in quella terribile forma di superbia che è la gnosi. Ma anche se si volesse contestare tale analisi della parabola intellettuale e spirituale di de Maistre, il rischio di fondo che don Curzio mostra resta vero per ogni cattolico. Quando si subisce la vis polemica delle forze anticristiche, è facile, per reazione, accoglierne le provocazioni e cadere nei loro tranelli. Non ci sono davvero scorciatoie. La vittoria verrà, ma forse non la vedremo noi. Conta solo fare la nostra parte.
Ma – come si dice in questi casi – c’è un “ma”. Il quid proprium dell’ora presente è la crisi nella stessa Chiesa di Dio.
È vero, è innegabile. I segni della crisi sono ormai parossistici in questi tempi. Nella lettera e nell’intervista tristemente note, un giornalista potente, ateo e non meno gnostico (“io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti”) come Eugenio Scalfari può dire al Pontefice romano in persona di non credere in Dio e di non cercarlo neppure, e sentirsi nondimeno offrire dal Papa una risposta tranquillizzante (“Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che - ed è la cosa fondamentale - la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza”). Viene da domandarsi se sia ancora vero quanto recita il Salmo 13: "Dixit insipiens in corde suo, non est Deus ... Dominus de caelo prospexit super filios hominum, ut videat si est intelligens, aut requirens Deum", "lo stolto pensa: Non c’è Dio … Il Signore dal cielo si china sugli uomini per vedere se esista un saggio: se c’è uno che cerchi Dio". Resta senz’altro vero che, come dice lo stesso Salmo, questi potenti senza Dio divorano il Suo popolo come il pane: "Nonne cognoscent omnes, qui operantur iniquitatem, qui devorant plebem meam sicut escam panis?", "Non comprendono nulla tutti i malvagi, che divorano il mio popolo come il pane?". Un acutissimo intellettuale che ho avuto il piacere di conoscere di persona, un giorno ha sostenuto che a suo giudizio il Papa sarebbe responsabile – ricorrendo ad una metafora penalistica - di “intelligenze col nemico”. In verità sta diventando ormai sempre più difficile anche solo distinguere tra amici e nemici.
È vero, la crisi nella Chiesa è terribile. E ora i cattolici che vogliono restare cattolici e agire da tali si sentono ancora più soli. Ma la lezione della storia non cambia: non ci sono scorciatoie. Occorre resistere e reagire nel solo modo possibile che è quello cristiano. Se si vuole ottenere tutto e subito, si rischia di perdere anche quel poco che ancora c’è.
Un grande esempio di vero spirito di reazione costruttiva ci è dato dall’opera e dalle parole di Mons. Lefebvre: “ … malgrado tutto io non sono pessimista. La Santa Vergine avrà la vittoria. Ella trionferà della grande apostasia, frutto del liberalismo. Ragione di più per non star lì a rigirarsi i pollici! Dobbiamo lottare più che mai per il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. Non siamo soli in questa battaglia: abbiamo con noi tutti i Papi fino a Pio XII compreso. Hanno tutti combattuto il liberalismo per liberare da esso la Chiesa. Dio non ha permesso che riuscissero, ma non è una ragione per deporre le armi! Bisogna tenere duro. Bisogna costruire mentre gli altri demoliscono. Bisogna ricostruire le roccaforti crollate, ricostruire i bastioni della fede: prima il Santo Sacrificio della Messa di sempre, che fa i santi, poi le nostre cappelle che sono le nostre vere parrocchie, i nostri monasteri, le nostre famiglie numerose, le nostre imprese fedeli alla dottrina sociale della Chiesa, i nostri uomini politici decisi a fare la politica di Gesù Cristo; è tutto un tessuto di vita sociale cristiana, di costumi cristiani, di riflessi cristiani che dobbiamo restaurare, nella misura in cui Dio vorrà, quando Dio vorrà. Tutto quel che so, ce lo insegna la fede, è che Nostro Signore Gesù Cristo deve regnare quaggiù, adesso, e non solo alla fine del mondo, come vorrebbero i liberali! Mentre questi distruggono, noi abbiamo la felicità di ricostruire” (Ils l’ont découronné).
Costruire senza zelo amaro, perché la Chiesa è di Dio, perché Nostro Signore è Re della storia tutta, perché ¡Dios no muere!
domenica 13 aprile 2014
Mons. Bernard Fellay risponde al Cardinal Kasper, teologo in gamba.
Pubblichiamo la recentissima presa di posizione della FSSPX nella persona di Mons. Bernard Fellay sulla dottrina-Kasper sui divorziati (fonte www.dici.org).
Que se passera-t-il à l’assemblée extraordinaire du Synode des évêques qui doit se réunir du 5 au 19 octobre 2014, consacré aux « défis pastoraux de la famille dans le contexte de l’évangélisation » ? Cette question se pose avec une grande inquiétude depuis que, lors du dernier Consistoire (20 février 2014), le cardinal Walter Kasper, à la demande du pape François et avec son soutien appuyé, a présenté le thème du prochain Synode en faisant des ouvertures prétendument pastorales et doctrinalement scandaleuses.
Cet exposé qui aurait dû initialement rester secret, a été publié dans la presse et les débats houleux qu’il a soulevés parmi les membres du Consistoire ont fini par être également révélés. Un universitaire n’a pas hésité à parler d’une véritable « révolution culturelle » (Roberto de Mattei), et un journaliste a qualifié de « changement de paradigme » le fait que la cardinal Kasper propose que les divorcés « remariés » puissent communier sans que leur précédent mariage soit reconnu comme nul, « actuellement ce n’est pas le cas, sur la base des paroles de Jésus, très sévères et explicites sur le divorce.» (Sandro Magister)
Des prélats se sont élevés contre ce changement, tel le cardinal Carlo Caffara, archevêque de Bologne, s’interrogeant : « Qu’en est-il du premier mariage célébré et consommé ? Si l’Eglise admet (les divorcés « remariés ») à l’Eucharistie, elle doit donner de toute façon un jugement de légitimité à la seconde union. C’est logique. Mais alors – comme je le demandais – qu’en est-il du premier mariage ? Le deuxième, dit-on, ne peut pas être un vrai deuxième mariage, car la bigamie va à l’encontre de la parole du Maître. Et le premier ? Est-il dissout ? Mais les papes ont toujours enseigné que le pouvoir du pape ne va pas jusque là : sur le mariage célébré et consommé, le pape n’a aucun pouvoir. La solution exposée (par le cardinal Kasper) porte à penser que le premier mariage demeure, mais qu’il y a quand même une deuxième forme de cohabitation que l’Eglise légitime. (…) La question de fond est donc simple : qu’en est-il du premier mariage ? Mais personne ne répond. » (Il Foglio, 15/03/14)
On pourrait ajouter les graves objections formulées par les cardinaux Gerhard Ludwig Müller, Walter Brandmüller, Angelo Bagnasco, Robert Sarah, Giovanni Battista Re, Mauro Piacenza, Angelo Scola, Camillo Ruini… Mais ces objections restent, elles aussi, sans réponse.
Nous ne pouvons attendre, sans élever la voix, que le Synode se tienne en octobre prochain dans l’esprit désastreux que veut lui donner le cardinal Kasper. L’étude jointe, intitulée « La nouvelle pastorale du mariage selon le cardinal Kasper », montre les lourdes erreurs contenues dans son exposé. Ne pas les dénoncer reviendrait à laisser une porte ouverte aux périls que pointe du doigt le cardinal Caffara : « Il y aurait (ainsi) un exercice de la sexualité humaine extra-conjugale que l’Eglise considèrerait comme légitime. Mais avec cela on ruine le pilier de la doctrine de l’Eglise sur la sexualité. À ce point on pourrait se demander : pourquoi n’approuve-t-on pas l’union libre ? Et pourquoi pas les rapports entre homosexuels ? » (Ibidem)
Alors que de nombreuses familles se sont mobilisées courageusement ces derniers mois contre les lois civiles qui partout sapent la famille naturelle et chrétienne, il est proprement scandaleux de voir ces mêmes lois subrepticement soutenues par des hommes d’Eglise désireux d’aligner la doctrine et la morale catholiques sur les mœurs d’une société déchristianisée, au lieu de chercher à convertir les âmes. Une pastorale qui bafoue l’enseignement explicite du Christ sur l’indissolubilité du mariage, n’est pas miséricordieuse mais injurieuse à l’égard de Dieu qui accorde à chacun sa grâce de façon proportionnée, et cruelle envers les âmes qui, placées dans des situations difficiles, reçoivent cette grâce dont elles ont besoin pour vivre chrétiennement et même grandir dans la vertu, jusqu’à l’héroïsme.
Menzingen, le 12 avril 2014
+ Bernard Fellay
Supérieur général de la Fraternité Saint-Pie X
Que se passera-t-il à l’assemblée extraordinaire du Synode des évêques qui doit se réunir du 5 au 19 octobre 2014, consacré aux « défis pastoraux de la famille dans le contexte de l’évangélisation » ? Cette question se pose avec une grande inquiétude depuis que, lors du dernier Consistoire (20 février 2014), le cardinal Walter Kasper, à la demande du pape François et avec son soutien appuyé, a présenté le thème du prochain Synode en faisant des ouvertures prétendument pastorales et doctrinalement scandaleuses.
Cet exposé qui aurait dû initialement rester secret, a été publié dans la presse et les débats houleux qu’il a soulevés parmi les membres du Consistoire ont fini par être également révélés. Un universitaire n’a pas hésité à parler d’une véritable « révolution culturelle » (Roberto de Mattei), et un journaliste a qualifié de « changement de paradigme » le fait que la cardinal Kasper propose que les divorcés « remariés » puissent communier sans que leur précédent mariage soit reconnu comme nul, « actuellement ce n’est pas le cas, sur la base des paroles de Jésus, très sévères et explicites sur le divorce.» (Sandro Magister)
Des prélats se sont élevés contre ce changement, tel le cardinal Carlo Caffara, archevêque de Bologne, s’interrogeant : « Qu’en est-il du premier mariage célébré et consommé ? Si l’Eglise admet (les divorcés « remariés ») à l’Eucharistie, elle doit donner de toute façon un jugement de légitimité à la seconde union. C’est logique. Mais alors – comme je le demandais – qu’en est-il du premier mariage ? Le deuxième, dit-on, ne peut pas être un vrai deuxième mariage, car la bigamie va à l’encontre de la parole du Maître. Et le premier ? Est-il dissout ? Mais les papes ont toujours enseigné que le pouvoir du pape ne va pas jusque là : sur le mariage célébré et consommé, le pape n’a aucun pouvoir. La solution exposée (par le cardinal Kasper) porte à penser que le premier mariage demeure, mais qu’il y a quand même une deuxième forme de cohabitation que l’Eglise légitime. (…) La question de fond est donc simple : qu’en est-il du premier mariage ? Mais personne ne répond. » (Il Foglio, 15/03/14)
On pourrait ajouter les graves objections formulées par les cardinaux Gerhard Ludwig Müller, Walter Brandmüller, Angelo Bagnasco, Robert Sarah, Giovanni Battista Re, Mauro Piacenza, Angelo Scola, Camillo Ruini… Mais ces objections restent, elles aussi, sans réponse.
Nous ne pouvons attendre, sans élever la voix, que le Synode se tienne en octobre prochain dans l’esprit désastreux que veut lui donner le cardinal Kasper. L’étude jointe, intitulée « La nouvelle pastorale du mariage selon le cardinal Kasper », montre les lourdes erreurs contenues dans son exposé. Ne pas les dénoncer reviendrait à laisser une porte ouverte aux périls que pointe du doigt le cardinal Caffara : « Il y aurait (ainsi) un exercice de la sexualité humaine extra-conjugale que l’Eglise considèrerait comme légitime. Mais avec cela on ruine le pilier de la doctrine de l’Eglise sur la sexualité. À ce point on pourrait se demander : pourquoi n’approuve-t-on pas l’union libre ? Et pourquoi pas les rapports entre homosexuels ? » (Ibidem)
Alors que de nombreuses familles se sont mobilisées courageusement ces derniers mois contre les lois civiles qui partout sapent la famille naturelle et chrétienne, il est proprement scandaleux de voir ces mêmes lois subrepticement soutenues par des hommes d’Eglise désireux d’aligner la doctrine et la morale catholiques sur les mœurs d’une société déchristianisée, au lieu de chercher à convertir les âmes. Une pastorale qui bafoue l’enseignement explicite du Christ sur l’indissolubilité du mariage, n’est pas miséricordieuse mais injurieuse à l’égard de Dieu qui accorde à chacun sa grâce de façon proportionnée, et cruelle envers les âmes qui, placées dans des situations difficiles, reçoivent cette grâce dont elles ont besoin pour vivre chrétiennement et même grandir dans la vertu, jusqu’à l’héroïsme.
Menzingen, le 12 avril 2014
+ Bernard Fellay
Supérieur général de la Fraternité Saint-Pie X
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