Il 13 novembre 2017 a Lugano presso la Facoltà Teologica è stato presentato il libro di Donal Anthony Foley, Comprendere Medjugorje. Visioni celesti o inganno religioso? (Cantagalli, Siena 2017). Il pubblico ha qui potuto ascoltare, oltre alle relazioni del Professor Dott. Manfred Hauke (vedi qui) e del Dottor Andrea Sandri (vedi qui), cui si deve la traduzione italiana del volume, un interessante e puntuale intervenuto del Dottor don Giorgio Ghio che pubblichiamo qui di seguito.
Vorrei soffermarmi brevemente sull’aspetto ecclesiale del “fenomeno Medjugorje”.
a) Criteri di discernimento
La Chiesa Cattolica dispone di validi strumenti per la valutazione di fatti di presunta origine soprannaturale. Ci sono anzitutto i rigorosi criteri indicati dal cardinale Lorenzo Lambertini (il futuro papa Benedetto XIV) nel suo monumentale De servorum Dei beatificatione et de beatorum canonizatione, composto tra il 1734 e il 1738, in un’epoca in cui la Chiesa aveva un forte interesse, per evitare gli attacchi degli illuministi, a riconoscere correttamente i fenomeni che superano l’ambito della natura creata. In tempi più recenti, nel 1978 sono state diramate a tutti i vescovi del mondo le Normae della Congregazione per la Dottrina della Fede già ricordate dal professor Hauke, poi pubblicate nel 2012. Infine abbiamo a disposizione l’insegnamento secolare della teologia ascetica e mistica, che ha prodotto una sterminata bibliografia. Strumenti atti all’accertamento della vera natura di un fenomeno, quindi, non mancano di certo. Il libro del dottor Foley vi fa più volte riferimento (solo per dare qualche esempio, cf. pp. 292ss, 298ss).
b) Prese di posizione delle autorità competenti
Monsignor Pavao Žanić, vescovo della Diocesi di Mostar dal 1980 al 1993, nel 1982 istituì, in qualità di autorità competente in materia, una prima commissione, poi ampliata due anni più tardi, che fornì un responso di non constat de supernaturalitate, inviato all’allora cardinal Ratzinger nel maggio del 1986 (cf. pp. 83, 249, 349). A questo punto, in linea di principio, la questione si sarebbe dovuta considerare chiusa. Visto però che nel frattempo il fenomeno religioso, ben lungi dall’esaurirsi, si stava prolungando con il conseguente accorrere di milioni di pellegrini da ogni parte del mondo, la Conferenza Episcopale Jugoslava costituì una nuova commissione d’indagine, di cui rese note le conclusioni, altrettanto negative, nella Dichiarazione di Zara (1991). Questo sviluppo non significò affatto – come affermato dai sostenitori di Medjugorje – un’estromissione dell’Ordinario del luogo dovuta ad una sua presunta chiusura preconcetta, ma corrisponde a quanto raccomandato dalle Normae sopra citate nel caso in cui un fenomeno superi i confini di una singola diocesi (cf. pp. 214s, 249s, 271s, 350).
Monsignor Ratko Perić, succeduto a Žanić nel 1993, ha reiterato il giudizio negativo del suo predecessore esprimendolo più volte in varie sedi, compresa la parrocchia di Medjugorje (cf. pp. 302s, 348s). Questo fatto, del tutto legittimo, ha messo a repentaglio la sua stessa incolumità fisica, come testimonia l’episodio del violento sequestro da parte di una folla di manifestanti avvenuto il 2 aprile 1995 e protrattosi per dieci ore (cf. p. 287). Nonostante tutto, il presule ha mantenuto ferma la sua posizione, per quanto scomoda, la quale lo ha oltretutto esposto a campagne mondiali di diffamazione. La persistenza del fenomeno (malgrado la proibizione di organizzare pellegrinaggi ufficiali emanata a livello locale fin dal 1984, poi confermata a livello romano) ha quindi indotto papa Benedetto XVI, nel 2010, a istituire una commissione internazionale presieduta dal cardinale Camillo Ruini. Sui dubbi circa le modalità e i risultati del lavoro da essa svolto (cf. pp. 386ss, 427ss) si è già espresso il professor Hauke.
c) Situazione dei francescani
Come sia stato possibile che una vastissima e molteplice attività religiosa si sia sviluppata per quasi quarant’anni in totale opposizione all’autorità del vescovo locale, garante dell’apostolicità della Chiesa, è più comprensibile alla luce del contesto storico ecclesiastico della regione. Dopo che l’Erzegovina, nel XV secolo, fu caduta sotto il dominio ottomano, i figli di san Francesco d’Assisi rimasero per secoli i soli ad assicurarvi una presenza cristiana, pur tollerando qualche forma ancestrale di culto dei defunti e degli spiriti. Nel 1878, con il passaggio di quelle terre sotto l’amministrazione asburgica, Leone XIII ristabilì la gerarchia cattolica. Il conflitto di giurisdizione sorto con i pur benemeriti francescani si protrasse per più di un secolo. Nel 1975 Paolo VI, con il decreto Romanis Pontificibus, intese dirimere la questione, ma la piena attuazione del decreto richiese ancora quasi venticinque anni, potendosi dire conclusa solo alla fine degli anni Novanta del secolo scorso (cf. pp. 23 ss).
In tali condizioni, del tutto anomale, le presunte apparizioni di Medjugorje, iniziate proprio nel vivo del conflitto tra la Santa Sede, la diocesi e i religiosi, hanno subito acquistato un fortissimo interesse per la causa di questi ultimi. A partire dal 1981 si è creata e protratta per decenni una situazione di grave irregolarità canonica e di disobbedienza continuata che ha coinvolto decine e decine di frati (per non parlare delle migliaia di sacerdoti di passaggio, tenuti abilmente all’oscuro) in un ministero illegittimo in quanto non autorizzato dall’Ordinario del luogo (cf. pp. 143s, 325, 462ss). Ciò ha portato a severi quanto inevitabili provvedimenti disciplinari, fino alle più gravi censure ecclesiastiche: la sospensione a divinis, la dimissione dallo stato clericale e l’espulsione dall’Ordine sono state comminate a numerosi religiosi, anche per abusi sessuali (cf. pp. 307s, 382s). In diversi presunti messaggi della Gospa, alcuni di loro sono stati da lei elogiati o incitati alla ribellione nei confronti del vescovo (cf. pp. 136, p. 148 s., 378).
In particolare, alcuni dei francescani che sono stati più attivi a Medjugorje aderivano al movimento carismatico cattolico. Pochi mesi prima dell’inizio delle “apparizioni”, il fatto era stato “profetizzato” durante un raduno internazionale tenutosi a Roma; in seguito l’organizzazione del movimento è ben servita a dare al fenomeno, con una rapidità fulminea, una notorietà a livello planetario. Foley evidenzia alcuni problemi connessi a questo tipo di “spiritualità”, fra cui certe pratiche che possono essere interpretate come forme di trance indotta e ricordano da vicino quelle diffuse fra i montanisti, movimento ereticale dell’antichità cristiana che rivendicava un’autorità fondata non più sulla successione apostolica ma su presunti carismi (cf. pp. 29 ss, 36 ss., 41 ss.).
d) Conclusione
Tenuto conto del movimento mondiale che è sorto intorno a Medjugorje e delle numerose comunità di vario genere da essa nate o impiantatesi (senza alcuna autorizzazione ecclesiastica) nel suo territorio, il pericolo maggiore che sembra attualmente incombere è quello della creazione di una sorta di “Chiesa parallela” che non riconosca più l’autorità stabilita da Cristo mediante gli Apostoli, bensì un’autorità “visionaria” fondata su pretese apparizioni e sui relativi messaggi. Non si tratta ovviamente di uno scisma in senso formale, ma di una divisione di fatto che porta milioni di fedeli a considerare irrilevante l’autorità dei legittimi Pastori. È un fatto facilmente osservabile da chiunque che il movimento medjugorjano è sempre più caratterizzato da una religiosità sentimentale fondata non tanto sulla Rivelazione divina, trasmessa e insegnata dalla Chiesa, quanto su presunte rivelazioni che non hanno ottenuto alcun riconoscimento ecclesiastico, ma che sono ritenute tali in base a giudizi puramente privati. È sintomatica la risposta di un pellegrino secondo il quale «“non importa che il Vaticano affermi o neghi l’autenticità”, perché “ciò che conta è ciò che credi dentro, e io credo che la gente abbia bisogno di ciò”» (p. 400).
Questa mentalità soggettivistica che pone i bisogni della gente al di sopra della verità oggettiva rischia di provocare gravi deviazioni, che si manifestano poi in atteggiamenti settari e in un fanatismo irragionevole che si rifiuta per principio di prendere in considerazione le obiezioni. Questo genere di “frutti” – se ce ne fosse ancora bisogno – è un’ulteriore ed eloquente conferma dei pareri negativi già espressi dalle competenti autorità ecclesiastiche. Ora, se la suprema istanza di giudizio nella Chiesa non prende rapidamente una posizione chiara e ben fondata in merito, c’è un forte rischio che il “fenomeno Medjugorje” si trasformi in un potentissimo boomerang, non solo come causa di divisione all’interno del Popolo di Dio, ma anche come pretesto di attacchi alla Chiesa Cattolica, come osservato dal professor Hauke (cf. p. 425). Se ora qualcuno, sulla base dell’ipotesi di Foley, si chiede quale interesse abbia il diavolo a suscitare un movimento mondiale di preghiera, credo che i pericoli appena indicati rappresentino una risposta più che sufficiente. A chi o a che cosa si convertono i seguaci di Medjugorje?
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