giovedì 13 febbraio 2014

Radaelli vs Socci sulla validità della rinuncia di Benedetto XVI



Pubblichiamo qui di seguito una nota critica del Professor Enrico Maria Radaelli, che ringraziamo, in risposta all'articolo apparso il 12 febbraio 2014 sul quotidiano Libero con il titolo Forse non è canonicamente valida la "rinuncia" di Papa Benedetto e segnaliamo, per il medesimo tenore delle argomentazioni, l'intervento Di nuovo sull'abdicazione del Papa di don Mauro Tranquillo sul sito del distretto italiano della FSSPX

Non si dia retta alle enormità messe in giro oggi 12 febbraio 2014 da presunti "scoop", come li chiamano, sulle dimissioni di Papa Ratzinger: sono solo allarmismi farneticanti basati sul nulla. Antonio Socci, solo per dimostrare che lui sì che aveva ragione, a mettere in dubbio la validità canonica di quelle che lui chiama "dimissioni", ma che in realtà, canonicamente parlando, vanno chiamate "rinuncia", si appella a imprecisate norme canoniche, ma quali? Non lo dice; che sarebbero norme di famosi canonisti, ma quali? Nemmeno questo dice; poi si appella a fumose condizioni solo per le quali, in analogia alle condizioni dell'elezione papale, avverrebbe la transustanziazione eucaristica, le quali condizioni a suo dire sarebbero materia, forma e... intenzione del celebrante (ex opere operantis)! Ma san Tommaso nega vi possa essere l'apporto intenzionale intimo del celebrante, v. Summa Theologiae, III, q. 82, a. 7, Se gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati siano in grado di consacrare: il santo Dottore, in accordo con sant'Agostino, spiega che quei soggetti (eretici, scismatici e /o scmunicati) consacrano validamente, ancorché sacerdoti, giacché, se quei medesimi tornassero nella Chiesa, non sarebbero di nuovo ordinati. Però non consacrano lecitamente, perché sono fuori della Chiesa, e dunque commettono peccato grave di sacrilegio.
Questo mostra che l'intenzione intima non è affatto la terza condizione per avere la transustanziazione, perché essa si ha "ex opere operato", ossia "indipendentemente dalle intime disposizioni", ma solo per materia e forma corrette nelle mani di un (anche indegno) celebrante. D'altronde, è bene che sia così, perché in caso contrario il fedele non saprebbe mai se l'Eucaristia cui ha partecipato è valida o no. L'Angelico, d'altronde, nell'analisi delle condizioni del Sacramento, pone solo due Questiones: la 74, sulla materia del Sacramento, e la 78, sulla forma del Sacramento. Altre Questiones che riguardino altre condizioni, come un'ipotetica disposizione del celebrante, non vi sono: le condizioni sono solo di materia e di forma, anche perché nella forma c'è tutto, e la forma sono le parole, non già i pensieri. Quando mai dei pensieri possono essere oggettivati?
E così pure per l'elezione di un Papa (che comunque non è un Sacramento): le disposizioni interiori dell'elegendo sono insignificanti, ininfluenti, perché il soggetto può pensare intimamente qualsiasi cosa, ma chi lo testimonia, come può essere oggettivato il suo pensiero, se resta pensiero?
Altro è se il soggetto lasciasse scritto o variamente documentato che previamente il suo atto è a suo avviso stato sottoposto a condizioni pesanti di volontà terze, a ricatti, a simonia, o ad altro condizionamento che lo rendono impuro. Ma tale non è il caso di Papa Ratzinger: egli non ha lasciato documenti o testimonianze in tal senso di nessun tenore.
L'elezione di Papa Ratzinger, e la sua rinuncia, sono valide a tutti gli effetti, e se vi saranno scismi nella Chiesa nei prossimi tempi non sarà per lui. Con buona pace di Socci.

Enrico Maria Radaelli

3 commenti:

  1. Concordo con il prof. Radaelli sull'articolo di Socci, ma vorrei precisare un elemento che, a mio parere, può indurre in errore. Mi riferisco al passo "materia, forma e... intenzione del celebrante".

    San Tommaso non mette in dubbio l'intenzione del celebrante cattolico (che si suppone abbia l'intenzione di fare quel che fa la Chiesa, bensì l'intenzione del sacerdote validamente ordinato ma eretico. In tal caso, giustamente, l'Angelico conferma che se il sacerdote ha intenzione di consacrare, lo fa illecitamente ma validamente.

    Ora, se da un lato è indiscusso che per consacrare le Specie Eucaristiche sia necessaria la forma ("Hoc est enim...", "Hic est enim...") e la materia (pane e vino), è altresì vero che l'intenzione è richiesta.

    Quello che va sottolineato è che se un celebrante cattolico non ha la retta intenzione, non consacra. Mi spiego meglio: se egli crede che nelle Specie Eucaristiche consacrate non avvenga la transustanziazione, ma la transignificazione (cosa di cui sono convinti assertori non pochi sacerdoti modernisti), non avendo egli intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, anzi avendo un'intenzione opposta, non consacra di fatto.

    Per questo prima della Messa la Chiesa raccomandava di esplicitare la formula intentionis:

    "Ego volo celebrare Missam, et conficere Corpus et Sanguinem Domini nostri Jesu Christi, juxta ritum sanctæ Romanæ Ecclesiæ, ad laudem omnipotentis Dei totiusque Curiæ triumphantis, ad utlitatem meam totiusque Curiæ militantis, pro omnibus, qui se commendaverunt orationibus meis in genere et in specie, et pro felici statu sanctæ Romanæ Ecclesiæ."

    Si veda anche all'inizio del Missale Romanum il cap. VII del De defectibus in celebratione Missarum occurrentibus", al numero 4 del "De defectu intentionis":

    "Se l’intenzione non fosse attuale nella stessa consacrazione per una distrazione di mente, ma virtuale perché accedendo all’Altare il Sacerdote intende fare ciò che fa la Chiesa, il Sacramento è valido, anche se il Sacerdote deve curare d’adoperare un’intenzione attuale."

    Il problema della validità non sta quindi nell'avere l'intenzione attuale, ma nel NON avere un'intenzione virtuale opposta a quella della Chiesa. Il che, di questi chiari di luna, è tutt'altro che scontato.

    Ovviamente il discorso di Socci relativo all'intenzione richiesta alla validità della rinuncia al Papato non ha nulla a che vedere con l'intenzione richiesta per la validità del Sacramento. Si tratta piuttosto della validità canonica delle conseguenze di un atto libero e volontario, nel momento in cui esso dovesse essere inficiato da una costrizione.





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  2. Concordo con Cesare Baronio nell'affernare che la retta intenzione é necessaria alla consacrazione.
    Ritengo tuttavia che il concetto di retta intenzione non sia da lui correttamente espresso; 'retta intenzione' significa semplicemente voler fare cio' che fa la Chiesa (si noti che non si dice neppure 'la chiesa cattolica', ma semplicamante la chiesa) indipendentemente dalla fede soggettiva del celebrante; se un sacerdote non crede alla transustanziazione, ma consacra volendo fare cio' secondo la fede oggettiva della Chiesa, la consacrazione è certamente valida. Cosi un ebreo che battezzasse un catecumeno volendo fare quel che fa la chiesa, pur non credendo in Cristo, anzi ritenendolo un impostore, certamente battezza validamente. Questo circa il contenuo dell'intenzione ovvero la qualità di essa.
    Quanto alla distinzione tra intenzione attuale e/o virtuale mi pare che Baronio si esprima in termini ancora più confusi. Attualità e virtualità dell'intenzione, nel linguaggio teologico comune, non si riferiscono al contenuto ma all'intensità dell'intenzione: l'attenzione attuale é quella del ministro perfettamente compreso dal rito che avverte esplicitamente quel che sta facendo: é certamente la condizione più auspicabile.L'intenzione virtuale é quella del ministro che, per distrazione, non é perfettamente compreso nell'atto sacramentale; tale intenzione é sufficiente perché, essendo stata emessa una volta e mai più ritirata, influisce presentemente sull'atto.

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    1. Non capisco in cosa io mi sia espresso confusamente, visto che Ella ripete sostanzialmente quello che ho scritto.

      Aggiungerò anche un ulteriore elemento, a conforto della necessità assoluta dell'intenzione (almeno virtuale) nell'amministrazione dei Sacramenti. Quando vi fu lo scisma anglicano, molti Vescovi che vi aderirono erano validamente ordinati nella Chiesa Cattolica, che avevano appena abbandonato:

      "Se il Vescovo che ordina rigetta a poco a poco la fede della Chiesa nel Santo Sacrificio della Messa, se - di logica conseguenza - la sua intenzione si modifica e non è più quella di ordinare in vista del Santo Sacrificio, allora egli finirà col trasformare il rito e smetterà di conferire agli ordinandi il carattere sacerdotale: la sua ordinazione sarà nulla. Con un consimile processo i Vescovi anglicani, nel XVI secolo, cessarono di conferire validamente gli Ordini Sacri. [...] I Vescovi che passarono all'Anglicanesimo sotto Edoardo VI nel XVI secolo erano stati certamente consacrati validamente; avevano certamente il potere d'Ordine. Nondimeno nelle ordinazioni che conferirono vi fu un momento - a partire dal giorno in cui, perduta la fede nel Santo Sacrificio, cambiarono la loro intenzione e cambiarono il rituale - vi fu dunque un momento in cui i loro poteri, per quanto reali, non ebbero più nessun effetto, cessarono di conferire il solo vero Sacerdozio" (Roger Thomas Calmel, Breve apologia della Chiesa di sempre, ed. Ichthys, 2007, pagg. 56 e 57).

      Lo stesso pericolo gravissimo vale per i sacerdoti che, a causa di un rito equivoco in cui il senso sacrificale sia taciuto e di una distorta mentalità derivante dagli errori modernisti oggi accolti quasi universalmente, celebrano la Messa senza l'intenzione di compiere il Santo Sacrificio, ma al contrario avendo intenzione di compiere un'azione di grazie e banchetto conviviale di un'assemblea di fedeli.

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