Nell’attesa dell’istituzione della festa cattolica di Gaia, proponiamo ai nostri lettori una pagina de La santa liturgia di Dom Gérard Calvet, sperando che possa scaldare un po’ i cuori di tutti. Non antropocentrismo né ecocentrismo, ma splendido e poetico cristocentrismo, culminante nella redenzione per opera del preziosissimo Sangue. Perché la figura di questo caduco mondo passa, e l’unica ricchezza che possediamo è la realtà in trasparenza dell’altro. Sancte Francisce ora pro nobis!
Il regno animale e vegetale, l’abbondanza delle sue forme, l’alternanza delle stagioni, il ritmo delle ore segnate dal sole, l’esatta rivoluzione degli astri, tutto compone una liturgia silenziosa in stato di attesa, un’immagine nella quale Dio si compiace perché vi è impresso il suo segno che è la luce del Verbo. Il mondo è riempito di vestigia e di similitudini di Dio; la creazione è un’immagine del creatore, immagine innocente, non offuscata, ma ancora integra nel suo stato di gloria. Come non vedervi che la luce del sole è anche ora nuova, oggi, come quando il mattino della creazione i suoi primi raggi illuminavano la superficie del globo, e l’atmosfera che respiriamo come il sorso d’aria pura ancora vergine inspirato dal primo uomo al suo primo risveglio.(Dom Gérard Calvet, La santa liturgia – Fonte: Romualdica )
Questa novità delle creature viste nella loro purezza originale è il grande miracolo dell’esistenza; pochi esseri umani sono sensibili a essa, e pertanto, dopo l’elevazione all’ordine soprannaturale, è la più alta espressione del divino nell’ordine del creato. Essa permette di considerare seriamente l’idea agostiniana del mondo come poema di Dio.
Nel prologo di san Giovanni abbiamo una frase che esprime molto bene il mistero di questa comunicazione di luce che Dio trasmette alla sua creatura, significato sottolineato anche dalla punteggiatura che sant’Agostino dà alla frase. Ecco il testo sacro come lo si trova sui messali: «Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hominum» [«Tutto è stato fatto da Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di quello che è fatto. In Lui era vita e la vita era la luce degli uomini»]. E ora la punteggiatura scelta dal vescovo d’Ippona (sappiamo che nel testo originale non ne era indicata alcuna): «Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil» (Punto). Poi inizia un’altra frase: : «Quod factum est in ipso vita erat!» : . Traduciamo: : «Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente non è stato fatto: (Punto). : Quello che è stato fatto in Lui era vita».
Nel commento di sant’Agostino a questo testo si trova un’idea davvero bella e nobile: ogni cosa è viva perché abita eternamente nel pensiero di Dio, indipendentemente dal suo abito terreno più o meno misero: «Per quanto posso, ecco come ve lo spiegherò. Un artigiano fabbrica un armadio (faber facit arcam). Inizia concependo l’idea di armadio (in arte). Solo che l’armadio non si trova, in quanto idea, nella stessa condizione nella quale appare allo sguardo. Come idea esiste invisibile; una volta realizzata, esisterà nel visibile. Ecco ora che l’armadio è stato eseguito: ha smesso pertanto di esistere come idea?... Dunque bisogna distinguere: l’armadio senza la realtà non è vita, ma come idea è vita, dato che l’anima dell’operaio è viva, la quale racchiude tutto questo nella sua idea prima di produrla al di fuori. Allo stesso modo, cari fratelli, la Sapienza di Dio, attraverso la quale tutto è stato fatto, contiene in sé l’idea di tutti gli esseri prima di crearli. Guarda la terra, c’è anche un’idea di terra; osserva il cielo, c’è anche un’idea di cielo; sole e luna, esistono anche come idea; se nella loro realtà esterna sono dei corpi, nel pensiero divino invece sono vita (in arte vita sunt) » (Commento al Vangelo di Giovanni 1,17).
Ricordiamo questa espressione: in arte. L’ars è il piano dell’esecuzione, l’idea ispiratrice. San Bonaventura è vicino al pensiero di sant’Agostino quando afferma che il Verbo è l’arte del Padre. Questo comporta che l’universo creato è pensiero in atto, firma, immagine concreta emanata dal Pensiero divino. È per questo che san Giovanni aggiunge nel suo prologo: «et vita erat lux hominum»; il legame scaturisce da Lui stesso che unisce vita e luce. Tutto ciò che è stato fatto in Lui era vita, e la vita era la luce degli uomini.
È come dire che noi siamo illuminati dalla stessa luce divina che proietta al di fuori il magnum carmen, «il poema della creazione, opera di un artista ineffabile». Questa luce ci parla di Dio: «In lumine tuo videbimus lumen». È in questa tua luce che vedremo la luce, canta il Salmo 35. «Alla tua Luce», cioè nella luce creatrice che Dionigi chiama Autokallopoios — produttrice essa stessa di ogni bellezza — e che sant’Agostino denomina Saggezza o Arte; nella Luce divina, e solo in essa, possiamo percepire la verità delle creature, il loro carattere sacro e che incanta, il mistero della loro vocazione!
Come non vedere in questa grande opera della creazione così nuova e armoniosa, una lode naturale, un canto, un’ovazione, per non dire un’immensa liturgia cosmica? Questa interpretazione, che si diffonderà più tardi grazie alla fortuna che ebbe la teologia francescana, sembra accordarsi a ciò che c’è di più essenziale nel cattolicesimo; trova il suo fondamento dottrinale nei Padri greci secondo i quali non c’è valore creato, anche naturale, che non debba essere concepito come rassomiglianza e partecipazione alla luce del Verbo. Mimesis et metexis sono i termini che ritornano spesso nei loro scritti.
È in questo spirito che bisogna leggere la mirabile Gerarchia celeste di Dionigi l’Areopagita, la cui dottrina può riassumersi in tre parole chiave: immagine, effusione, partecipazione. Secondo questo autore, ogni cosa giunge a noi grazie all’illuminazione proveniente dalla «luce principale» (Archiphôtos) che «discende con bontà e in diversi modi fino agli oggetti della sua provvidenza… per convertirci all’Uno e alla semplicità deificante dell’unico Padre». In questo movimento di discesa della luce e nel riflusso ascendente di esseri illuminati e gerarchizzati dal Verbo, splendore del Padre, l’universo ritorna al suo principio in una celebrazione grandiosa dove la creatura umana si trova anch’essa inserita: «Noi stessi — scrive Massimo il Confessore —, attraverso il cambiamento della nostra natura presente, dapprima generati come tutti gli animali della terra, divenuti figli, trasportati dalla giovinezza alle rughe dell’età matura, come un fiore che dura un istante, morente per passare a un’altra vita, veramente, noi meritiamo di essere chiamati al gioco di Dio»(Mistagogia). Ritroviamo la medesima idea anche in Clemente Alessandrino, per il quale il Verbo è essenzialmente colui che «ha ordinato tutto con misura, avendo sottomesso la dissonanza degli elementi alla disciplina dell’accordo per fare del mondo una sinfonia» (Protrettico) .
Ma questa sinfonia, compromessa dal peccato e dalla caduta dell’uomo, sarà nuovamente ristabilita e purificata dalla grande corrente d’azione redentrice del Figlio di Dio. Il Verbo incarnato non è solo Re delle nazioni; egli esercita una sovranità su tutto l’universo, e la creazione acquisisce una nuova dignità non solo dopo che la terra si è fatta sgabello dei suoi piedi — scabellum pedum tuorum — ma anche dopo che i rivoli di sangue, sgorgati dalle sue sacre membra, l’hanno lavata in un universale fiume d’amore. Un inno della Passione esprime tutto ciò in una celebre strofa: «Mite corpus perforatur, sanguis, unda profluit: Terra, pontus, astra, mundus quo lavantur flumine!» [«È squarciato il mite corpo, sangue ed acqua ne sgorgò: terra, mare, cielo e mondo quale fiume vi lavò»: Inno delle Lodi della Domenica delle Palme].
Nessun commento:
Posta un commento