Reinhold Ljunggren (1920-2006) - Interno svedese |
Vigiliae Alexandrinae
"I Padri alessandrini, di cui si dice che grande fosse il debito verso la scienza pagana, non mostrarono certo né gratitudine né riverenza per i loro presunti maestri, ma sostennero la supremazia della tradizione cattolica" (John Henry Newman)
Commentari cattolici nel tempo della crisi della Chiesa
giovedì 6 gennaio 2022
Due ordini, due resistenze. Alcune osservazioni sul presente tra Chiesa e secolo
venerdì 24 dicembre 2021
«Bambinello dall’eternità, ora voglio rivolgere un canto alla tua Madre!». Una poesia mariana di Gertrud von Le Fort per il giorno di Natale
Martin Schongauer - Geburt Christi, 1470-1500 |
martedì 31 agosto 2021
Apologia dei cattolici libertari. Una risposta al professor Pietro De Marco
Dale Nichols - Arizona's Twilight,1934 |
Se l’unica o almeno l’ultima autorità, nella tarda modernità dei diritti è assegnata, non per un abuso contingente ma per necessità, alle leggi e alle corti costituzionali, essa non può che agire minando le politiche e dissolvendo le società che incorporino autorità e in quanto la incorporano.
Una costatazione che si accompagna a un’altra costatazione secondo cui «l’intero “munus” imperativo (ovvero la cura dell’unità politica) è con la secolarizzazione (ovvero con la crisi della cristianità nell’età moderna) depositato nelle mani dei giuristi». Poiché si tratta qui evidentemente dei "giuristi curiali" del principe-Stato, ancora una volta De Marco legge parzialmente Schmitt che certamente individua nel “sileant theologi in munere alieno” di Alberico Gentili uno snodo fondamentale nella formazione dello Stato moderno, ma attribuisce, su un fronte opposto, allo jus non statale di Friedrich von Savigny (si veda il saggio di Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, Pellicani, Roma 1996) e della sua scuola il compito di una forza frenante, di un katéchon appunto, all’interno di quello stesso processo formativo dello Stato in fondo al quale c’è il detto di Julius von Kirchmann: «I giuristi sono diventati, tramite la legge positiva, come vermi che vivono soltanto di legno marcio», mentre «tre parole del legislatore bastano a trasformare intere biblioteche in carta da macero» (J. H. von Kirchmann, Die Wertlosigkeit der Jurisprudenz als Wissenschaft, Muntius Verlag, Heidelberg 1988, pp. 28-29). Oggi il processo è persino oltremodo avanzato, poiché al legislatore che uccide il diritto è subentrata un’amministrazione materiale, la così detta governance, che pretende di indirizzare le società attraverso interventi puntuali e condizionanti, difficilmente sussumibili sotto qualche diritto anche soltanto legislativo, e perciò non processabili. L’armamentario dei dpcm, del lock-down e ultimamente del green-pass si inquadra in questo fenomeno al di là della sua occasione concreta.
Letta in questo contesto evolutivo, l’affermazione di De Marco sulla necessità del sistema statale come «l’ultima autorità … assegnata, non per un abuso contingente ma per necessità, alle leggi e alle corti costituzionali» appare persino superata, mentre doppiamente minacciosa nella sua attualità risulta la seconda parte della proposizione: «Essa non può che agire minando le politiche e dissolvendo le società che incorporino autorità e in quanto la incorporano». Qui allora l’affermazione della/e libertà può essere letta come dissoluzione libertaria soltanto nel quadro di una recidiva metafisica (o teologia) dello Stato, che De Marco sembra fare propria. In realtà e in un senso opposto, si tratta ancora una volta dell’affermazione dello jus come katéchon di fronte alla perfezione tecnica del Leviatano. Affermare il diritto è un esercizio di katéchon. Si tratta di un’insorgenza della storicità degli individui e delle famiglie come tempo non riducibile al normativo e come ricettacolo costante di istituti giuridici tradizionali e naturali. È la politica antica, come appena descritta, che si riprende i propri spazi, l’ontologia che forza la fantasmagoria statale. Un ordine politico libero (epperò autenticamente giuridico) e non statale, e in questo senso, se si vuole, anche libertario, che si affianca naturalmente (e non in maniera contraddittoria, come soltanto potrebbe fare lo Stato, secondo le conclusioni di De Marco) al più grande Katéchon costituito dalla Chiesa e dalla Cristianità. Qui la decisione sui vaccini cesserebbe di essere una minaccia sovranamente incombente.domenica 15 agosto 2021
Su nostra Signora nel corpo. Una meditazione del Cardinale John Henry Newman sulla Festa dell'Assunzione
Juan Martin Cabezalero - Assunzione di Maria |
15. L’Avvocata nostra nel cielo.
martedì 3 agosto 2021
La FSSPX tra fronte e retrovia. Intorno a una nota dell'Abbé Gleize
L’Abbé Jean-Michel Gleize |
giovedì 29 luglio 2021
Il bollettino mondiale di Traditionis Custodes. Verso una disapplicazione differenziata del Motu Proprio?
mercoledì 28 luglio 2021
American Trads. Il Wall Street Journal su Traditionis Custodes
I vecchi trads, che ricordano i giorni delle Messe “don’t ask, don’t tell” [non chiedere, non dire] nelle cappelle private, si sono dimostrati tendenzialmente ottimisti. Michael Matt, direttore del Wanderer, un giornale cattolico tradizionalista, ha recentemente definito il decreto del Santo Padre una conferma del vigore del vecchio rito. E ha invitato i fedeli a resistere ai loro vescovi e persino allo stesso Papa.
venerdì 23 luglio 2021
Una lettera dalla Svezia. Il Cardinal Arborelius e Traditionis Custodes
lunedì 19 luglio 2021
La Tradizione liturgica non può essere abrogata. Nota al Motu Proprio "Traditionis Custodes"
lunedì 12 luglio 2021
"Stiamo attenti a non essere i protestanti della Tradizione". Alcune significative considerazioni di Don Alberto Secci sulla tentazione neotradizionalista
Karolina Larusdottir - La Processione |
venerdì 9 luglio 2021
Naufragio della barca della Chiesa e nascita della nuova comunità. Analisi di un recente articolo di A. M. Valli
La Chiesa che rinasce, sostenuta dallo Spirito, è un miracolo di fede: spes contra spem, segno di contraddizione totale nel rapporto col mondo. Una Chiesa, mi scuso per il termine, un po’ guerrigliera, perché non inquadrata, spesso non visibile. C’è, ma si vede poco o per nulla, e nemmeno vuol farsi vedere. Tiene accesa la fiammella in modi che sono allo stesso tempo antichi e nuovi. Coniuga la Tradizione con l’inventiva che nasce dall’amore. Guarda con sconforto ai documenti ufficiali, alle linee e ai piani pastorali. Anzi, ignora tutto ciò perché sa che da lì può venire, ormai, solo un attentato alla fede. Poiché ha sete di Verità, va direttamente alla fonte dell’acqua che dà la vita e si riunisce attorno ai pochissimi pastori rimasti. A loro volta nascosti e perseguitati.
Nella nuova comunità teorizzata da Valli dobbiamo «lasciare tutto ciò che conoscevamo ed entrare in una dimensione nuova, all’insegna della piccolezza, del nascondimento e della persecuzione». Non è evidentemente più la Chiesa cattolica, la “societas permixta” agostiniana, ma la comunità della purezza neotradizionalista contrapposta alla Babilonia romana. La Chiesa qui è tanto spirituale, “invisibile”, “piccola” e “nascosta” che, nonostante le premesse, sembra poter fare a meno non soltanto del Vicario di Cristo sulla terra, ma anche del Verbo incarnato, dell’Incarnazione. E, non senza qualche preoccupazione, c’è da chiedersi da dove realmente proceda lo “spirito” che la sospinge.
Il terzo elemento della fattispecie è meno accentuato che, per es., nella predicazione “triaria” del Professor Massimo Viglione, alla cui sfera di influenza culturale d’altronde Valli non si è sottratto, anche se si può facilmente constatare che non manca la dimensione apocalittica. Apparentemente è assente la politica come “grande sacramento” di liberazione, almeno per ora. Ciò nondimeno si deve osservare che Valli accenna a una possibilità militante della comunità nascosta: «Ho smesso di essere cattolico “regolare” e sono diventato “guerrigliero”». La conformazione esterna di questa “guerrilla” non è ancora definita, anche se è destino delle comunità religiose pure, senza apparato e gerarchia, cercare in una struttura politica mondana ciò a cui, per essere “più spirituali”, hanno rinunciato.
domenica 4 luglio 2021
L'enigma Viganò. Una breve risposta a Maria Guarini
Innanzitutto si constata con soddisfazione che l’Autrice ammette l’emergere, nei discorsi di Monsignor Viganò, di alcuni connotati di ciò che è stato definito “neotradizionalismo” ossia di un fenomeno che si allontana essenzialmente dal movimento di fedeltà alla Tradizione cattolica in Italia e nel mondo nel corso di cinquant’anni dalla fine del Concilio Vaticano II e dalla approvazione del Nuovo Messale Romano da parte di Paolo VI. Scrive infatti significativamente Maria Guarini:
Ora non nego che certe accentuazioni di Mons. Viganò sulla politica vadano mitigate e che esse non debbano mai prendere il sopravvento sull'insegnamento e sulla parenesi. Così come non nego che altrettanto mitigate debbano essere certe espressioni nei confronti del papa.
Resta tuttavia problematica l’affermazione secondo cui «l’Arcivescovo Viganò rifugg[e] dalle tribune di qualunque genere», se soltanto si considera che Monsignor Viganò ha inviato, in maniera del tutto irrituale per un vescovo cattolico, più messaggi personali al presidente dei Triarii, Massimo Viglione, affinché li rendesse noti sulla sua pagina Facebook, e che ha partecipato al Festival di Filosofia di Venezia del 30 maggio 2021 (si veda qui il contesto), facendo precedere questa sua adesione da un messaggio pubblico di incoraggiamento alla Confederazione dei Triarii, ente esponenziale delle tendenze “neotradizionaliste” in Italia e co-organizzatrice dello stesso evento.
Certamente queste collaborazioni non consentono da sole di affermare che Monsignor Viganò sia attualmente inserito in una associazione od organizzazione ben definita. Ma Maria Guarini nel sostenere che si assiste, accanto al tentativo di delegittimare l’Arcivescovo, «al tentativo di normalizzarlo da parte del resto del mondo della Tradizione che lo vede a capo di un fantomatico fronte organizzato “di resistenza antimodernista e antimondialista” che non esiste», dimentica di riferire che questa affermazione è stata fatta energicamente da don Curzio Nitoglia durante un'intervista su Visione TV nella quale il Sacerdote (anch'egli presente al Convegno di Venezia e a molte trasmissioni di Triarii TV) sembra fare intendere di rappresentare in qualche modo Monsignor Viganò “diffamato da Roberto de Mattei”. Non si può evitare di pensare che l’Arcivescovo, come ha prontamente smentito le dichiarazioni di de Mattei sul suo “doppio” o “ghost writer”, avrebbe potuto con altrettanta solerzia e molto opportunamente smentire don Curzio che lo descrive come “il capo” di una “associazione” denominata “Resistenza antimodernista e antimondialista”.
Rimane da osservare che quello che Guarini chiama “il tentativo di normalizzare” Monsignor Viganò non è altro che l’auspicio che egli possa uscire dal proprio enigma e scendere in questa “valle di lacrime” per divenire concretamente un vescovo della Tradizione cattolica in mezzo a un concreto popolo cattolico, lontano dalla tentazione neotradizionalista. Poiché la Chiesa ha una costituzione divinamente rivelata, una Pietra posta da Cristo senza la quale il Cattolicesimo non sarebbe più che un sistema di pensiero a disposizione degli interpreti e delle ermeneutiche di destra e sinistra come qualsiasi hegelismo, e ha dislocazioni nelle quali è legittimamente attuata ogni missione (il canonista Hans Barion, un severo critico dell'ultimo Concilio, si spingeva a parlare di "Ordnung e Ortung" della Chiesa), il succedersi in rete, da spazio “remoto”, dei messaggi di Monsignor Viganò quasi rivolti a una "diocesi universale", mentre contemporaneamente dichiara che «chi presiede la Chiesa è marionetta nelle mani del burattinaio», non può che destare preoccupazioni. (A. S.)