lunedì 16 novembre 2015

Satana al Bataclan. Ragioni preternaturali di un'orribile strage

Uno degli aspetti meno indagati dagli organi di informazione in questi giorni è la natura del gruppo Eagles of Death Metal e delle canzoni che risuonavano nel teatro Bataclan nel momento in cui gli assassini hanno iniziato la mattanza del pubblico.
Lasciamo qui agli esperti ogni precisazione sulla storia della band californiana e sul genere musicale heavy metal, pur ritenendo cosa certa che le forme musicali e i contenuti di questo tipo di intrattenimento sono lontani da ogni ordine armonioso e da ogni autentica estetica cristiana.
Ciò che qui maggiormente interessa è richiamare l’attenzione su una causalità che, al di là delle possibili ricostruzioni ufficiali o complottistiche, si avvinghia misteriosamente ad altre causalità ben più evidenti ma forse non più importanti.
Nel suo comunicato l’Isis motiva l’incursione nel Bataclan affermando che vi “erano riuniti centinaia di infedeli, durante una festa di perversione” (vedi qui). Questa indicazione non diminuisce certamente la gravità del giudizio che riguarda gli assassini del 13 novembre, la loro turpe eresia antitrinitaria e i loro vili mandanti, ma rivela appunto, se contemplata nel contesto su cui ci vogliamo soffermare per un momento, una causalità impressionante che si è fatta strada e che uno sguardo sovrannaturale sulle cose e sugli eventi può cogliere. Chi conosce le pagine della Vita di Sant’Antonio Abate di Sant’Atanasio o semplicemente ha potuto consultare un trattato di demonologia, potrà meglio valutare l’ipotesi che qui si espone.
Al comunicato dell’Isis fa pendant la dichiarazione, riportata dal quotidiano inglese The Guardian (vedi qui), di un giovane che assisteva al concerto degli Eagles of Death Metal:

Several people were sitting on the first-floor balcony. It was quite a fun rock group and the audience was aged between 20 and 50. Some parents were with their teenagers. The ambiance was very jovial. The group had been on about an hour and they’d just said “We love you Paris” and started singing a song, Kiss the Devil, with the words ‘I met the Devil and this is his song’ when we heard very clearly some explosions.

[Molte persone sedevano nella galleria del primo piano. Era un gruppo rock abbastanza divertente e l’età del pubblico andava tra i venti e i cinquant’anni. Alcuni genitori accompagnavano i figli adolescenti. Il clima era molto gioviale. Il gruppo suonava da ormai un’ora. Avevano appena gridato: “Ti amiamo, Parigi” e iniziato a cantare una canzone, “Kiss the Devil”, pronunciando le parole: “Ho incontrato il Diavolo e questa è la sua canzone”, quando abbiamo udito alcune esplosioni.]

Riportiamo qui di seguito il testo di Kiss the Devil (Bacia il Diavolo) che nella sua inquietante semplicità non abbisogna di una traduzione:

Who'll love the devil?...
Who'll song his song?...
Who will love the devil and his song?...
I'll love the devil!...
I'll sing his song!...
I will love the devil and his song!...
Who'll love the devil?...
Who'll kiss his tongue?...
Who will kiss the devil on his tongue?...
I'll love the devil!...
I'll kiss his tongue!...
I will kiss the devil on his tongue!...
Who'll love the devil?...
Who'll sing his song?...
I will love the devil and his song!... Who'll love the devil?...
Who'll kiss his tongue?...
I will kiss the devil on his tongue!...
Who'll love the devil?...
Who'll sing his song?...
I WILL LOVE THE DEVIL AND SING HIS SONG!...

Giornali e televisioni, generalmente soliti a indagare con puntigliosa morbosità gli aspetti sulfurei della cronaca nera, hanno stranamente trascurato questo particolare agghiacciante, non hanno detto o scritto che mentre i carnefici hanno iniziato a sparare, gli altri stavano invocando satana. Al contrario hanno spiegato più volte che il genio criminale ha colpito la normalità, la movida, il semplice divertimento di un venerdì sera parigino. Il che è vero per lo stadio, i bistrot, il ristorante Casa nostra o il Petit Cambodge, ma non per il Bataclan.
Lo sguardo sovrannaturale, invece, si rattrista profondamente perché vede, assiste allo spettacolo terribile di decine di persone che muoiono colpite con satanica spietatezza in una sala in cui il diavolo era stato invocato e in cui, secondo l’esperienza di Sant’Antonio, dovevano essere confluite molte schiere di angeli caduti.
Qui si coglie anche la causalità alla quale si è appena accennato. La tentazione infatti ha una logica particolare che spesso opera più per azioni concomitanti, astutamente ispirate, che secondo una mera causalità materiale. Il demonio che poté insinuare lo scandalo e la falsa vendetta nelle anime offuscate da una antica eresia, seppe contemporaneamente convincere altre anime del fatto che invocarlo in un teatro potesse essere un divertimento come un altro.
Tutto il resto, quel che verrà - la guerra, i bombardamenti, le bombe, le rappresaglie, gli arresti, le esecuzioni, gli attentati, il tramonto di una civiltà –, è, in fondo, soltanto storia.

giovedì 12 novembre 2015

La persuasione dopo la rettorica. Un sacerdote testimone delle grazie del Summorum Pontificum di Benedetto XVI

Quasi come conferma di quanto recentemente annotato nella chiosa alla Lettera ai conservatori perplessi di Radio Spada (quiriprendiamo da Chiesa e postconcilio (qui) la preziosa testimonianza di un sacerdote cattolico, uno tra i molti in tutto il mondo, giunto al vetus Ordo grazie al Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. Di fronte a queste parole viene da ripetere con Sant'Agostino di Ippona: "Securus judicat orbis terrarum".

Alla Pontificia Università Gregoriana il prof di liturgia ha sempre insegnato che il "prima della chiesa era qualcosa di incomprensibile e inutile. Qualcosa da cambiare". Tutto questo sdegno mi ha spinto a cercare cosa c'era... Tante cose è stato un bene lasciarle, altre un grosso male. Oggi ricorre il mio primo anniversario che, seguendo le indicazioni del Sommo Pontefice Benedetto XVI nel Summorum Pontificum, mi sono accostato all'altare del Dio della mia giovinezza.
Ho trovato una ricchezza incommensurabile nel Rito Romano ante riforma; ho letto e scoperto il vero senso del sacerdozio che, come insegna il Concilio Vaticano II, è differente dal sacerdozio battesimale per gradi ed essenza (LG 10), e si pone come un ponte che dona agli uomini la grazia di Dio e a Dio porta le preghiere del popolo. Ho scoperto il senso del sacro e la potenza della Messa come ripresentazione viva ed efficace della Croce di Cristo Signore. Che meraviglia e che gran dono!
Non ho trovato ostacoli tra la gente comune, quelli che a Messa vanno per fede, ma tra i sacerdoti, che mi hanno visto come uno da eliminare, come uno che "gioca alla messa". Ebbene, riprendendo la sapienza degli Atti degli Apostoli, chiedo: se questo rito è considerato come vecchio e noioso, incomprensibile... Perché lo temete? Perché odiate chi lo celebra? Perché gli spezzate le gambe in segreto? Se è volontà di Dio che questo venga celebrato, lasciate fare... Se è volontà umana, prima o poi passerà come tutti i capricci umani. Non fate che vi troviate a combattere contro Dio!

Terra, pontus, astra, mundus quo lavantur flumine! Il rapporto dell’uomo con il creato nella prospettiva cattolica.

Da diverso tempo ormai nel mondo cattolico “aggiornato” si sente parlare di creato e di sua tutela. In questo stesso mondo, pare che con il passare degli anni, da una prospettiva inizialmente antropocentrica che vede il creato al servizio dell’uomo, si stia progressivamente passando ad una prospettiva ecocentrica, in cui il creato assurge alla dignità di fine. Ne è riprova anche il fiorire di feste e ricorrenze in cui fanno il loro debutto cattolico categorie ambientalistiche, estranee tanto a Dio quanto all’uomo, dettate dal pensiero tecno-scientifico (e la mente non può correre anche all’enciclica Laudato sii …). Capita ad esempio di leggere cose del genere: «Al termine dell’Angelus, Francesco ricorda sia il Convegno nazionale della Chiesa italiana, al quale prenderà parte martedì prossimo recandosi a Firenze, sia la “Giornata del Ringraziamento”, che quest’anno ha per tema “Il suolo, bene comune”, che a Roma si svolge in concomitanza con la “Giornata diocesana per la custodia del creato”, arricchita quest’anno dalla “Marcia per la terra”» (vedi qui). Ringraziamento, Suolo, Custodia del creato, Marcia per la terra: ci sono già gli elementi per un nuovo calendario liturgico!
Nell’attesa dell’istituzione della festa cattolica di Gaia, proponiamo ai nostri lettori una pagina de La santa liturgia di Dom Gérard Calvet, sperando che possa scaldare un po’ i cuori di tutti. Non antropocentrismo né ecocentrismo, ma splendido e poetico cristocentrismo, culminante nella redenzione per opera del preziosissimo Sangue. Perché la figura di questo caduco mondo passa, e l’unica ricchezza che possediamo è la realtà in trasparenza dell’altro. Sancte Francisce ora pro nobis!

Il regno animale e vegetale, l’abbondanza delle sue forme, l’alternanza delle stagioni, il ritmo delle ore segnate dal sole, l’esatta rivoluzione degli astri, tutto compone una liturgia silenziosa in stato di attesa, un’immagine nella quale Dio si compiace perché vi è impresso il suo segno che è la luce del Verbo. Il mondo è riempito di vestigia e di similitudini di Dio; la creazione è un’immagine del creatore, immagine innocente, non offuscata, ma ancora integra nel suo stato di gloria. Come non vedervi che la luce del sole è anche ora nuova, oggi, come quando il mattino della creazione i suoi primi raggi illuminavano la superficie del globo, e l’atmosfera che respiriamo come il sorso d’aria pura ancora vergine inspirato dal primo uomo al suo primo risveglio.
Questa novità delle creature viste nella loro purezza originale è il grande miracolo dell’esistenza; pochi esseri umani sono sensibili a essa, e pertanto, dopo l’elevazione all’ordine soprannaturale, è la più alta espressione del divino nell’ordine del creato. Essa permette di considerare seriamente l’idea agostiniana del mondo come poema di Dio.
Nel prologo di san Giovanni abbiamo una frase che esprime molto bene il mistero di questa comunicazione di luce che Dio trasmette alla sua creatura, significato sottolineato anche dalla punteggiatura che sant’Agostino dà alla frase. Ecco il testo sacro come lo si trova sui messali: «Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hominum» [«Tutto è stato fatto da Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di quello che è fatto. In Lui era vita e la vita era la luce degli uomini»]. E ora la punteggiatura scelta dal vescovo d’Ippona (sappiamo che nel testo originale non ne era indicata alcuna): «Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil» (Punto). Poi inizia un’altra frase: : «Quod factum est in ipso vita erat!» : . Traduciamo: : «Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente non è stato fatto: (Punto). : Quello che è stato fatto in Lui era vita».
Nel commento di sant’Agostino a questo testo si trova un’idea davvero bella e nobile: ogni cosa è viva perché abita eternamente nel pensiero di Dio, indipendentemente dal suo abito terreno più o meno misero: «Per quanto posso, ecco come ve lo spiegherò. Un artigiano fabbrica un armadio (faber facit arcam). Inizia concependo l’idea di armadio (in arte). Solo che l’armadio non si trova, in quanto idea, nella stessa condizione nella quale appare allo sguardo. Come idea esiste invisibile; una volta realizzata, esisterà nel visibile. Ecco ora che l’armadio è stato eseguito: ha smesso pertanto di esistere come idea?... Dunque bisogna distinguere: l’armadio senza la realtà non è vita, ma come idea è vita, dato che l’anima dell’operaio è viva, la quale racchiude tutto questo nella sua idea prima di produrla al di fuori. Allo stesso modo, cari fratelli, la Sapienza di Dio, attraverso la quale tutto è stato fatto, contiene in sé l’idea di tutti gli esseri prima di crearli. Guarda la terra, c’è anche un’idea di terra; osserva il cielo, c’è anche un’idea di cielo; sole e luna, esistono anche come idea; se nella loro realtà esterna sono dei corpi, nel pensiero divino invece sono vita (in arte vita sunt) » (Commento al Vangelo di Giovanni 1,17).
Ricordiamo questa espressione: in arte. L’ars è il piano dell’esecuzione, l’idea ispiratrice. San Bonaventura è vicino al pensiero di sant’Agostino quando afferma che il Verbo è l’arte del Padre. Questo comporta che l’universo creato è pensiero in atto, firma, immagine concreta emanata dal Pensiero divino. È per questo che san Giovanni aggiunge nel suo prologo: «et vita erat lux hominum»; il legame scaturisce da Lui stesso che unisce vita e luce. Tutto ciò che è stato fatto in Lui era vita, e la vita era la luce degli uomini.
È come dire che noi siamo illuminati dalla stessa luce divina che proietta al di fuori il magnum carmen, «il poema della creazione, opera di un artista ineffabile». Questa luce ci parla di Dio: «In lumine tuo videbimus lumen». È in questa tua luce che vedremo la luce, canta il Salmo 35. «Alla tua Luce», cioè nella luce creatrice che Dionigi chiama Autokallopoios — produttrice essa stessa di ogni bellezza — e che sant’Agostino denomina Saggezza o Arte; nella Luce divina, e solo in essa, possiamo percepire la verità delle creature, il loro carattere sacro e che incanta, il mistero della loro vocazione!
Come non vedere in questa grande opera della creazione così nuova e armoniosa, una lode naturale, un canto, un’ovazione, per non dire un’immensa liturgia cosmica? Questa interpretazione, che si diffonderà più tardi grazie alla fortuna che ebbe la teologia francescana, sembra accordarsi a ciò che c’è di più essenziale nel cattolicesimo; trova il suo fondamento dottrinale nei Padri greci secondo i quali non c’è valore creato, anche naturale, che non debba essere concepito come rassomiglianza e partecipazione alla luce del Verbo. Mimesis et metexis sono i termini che ritornano spesso nei loro scritti.
È in questo spirito che bisogna leggere la mirabile Gerarchia celeste di Dionigi l’Areopagita, la cui dottrina può riassumersi in tre parole chiave: immagine, effusione, partecipazione. Secondo questo autore, ogni cosa giunge a noi grazie all’illuminazione proveniente dalla «luce principale» (Archiphôtos) che «discende con bontà e in diversi modi fino agli oggetti della sua provvidenza… per convertirci all’Uno e alla semplicità deificante dell’unico Padre». In questo movimento di discesa della luce e nel riflusso ascendente di esseri illuminati e gerarchizzati dal Verbo, splendore del Padre, l’universo ritorna al suo principio in una celebrazione grandiosa dove la creatura umana si trova anch’essa inserita: «Noi stessi — scrive Massimo il Confessore —, attraverso il cambiamento della nostra natura presente, dapprima generati come tutti gli animali della terra, divenuti figli, trasportati dalla giovinezza alle rughe dell’età matura, come un fiore che dura un istante, morente per passare a un’altra vita, veramente, noi meritiamo di essere chiamati al gioco di Dio»(Mistagogia). Ritroviamo la medesima idea anche in Clemente Alessandrino, per il quale il Verbo è essenzialmente colui che «ha ordinato tutto con misura, avendo sottomesso la dissonanza degli elementi alla disciplina dell’accordo per fare del mondo una sinfonia» (Protrettico) .
Ma questa sinfonia, compromessa dal peccato e dalla caduta dell’uomo, sarà nuovamente ristabilita e purificata dalla grande corrente d’azione redentrice del Figlio di Dio. Il Verbo incarnato non è solo Re delle nazioni; egli esercita una sovranità su tutto l’universo, e la creazione acquisisce una nuova dignità non solo dopo che la terra si è fatta sgabello dei suoi piedi — scabellum pedum tuorum — ma anche dopo che i rivoli di sangue, sgorgati dalle sue sacre membra, l’hanno lavata in un universale fiume d’amore. Un inno della Passione esprime tutto ciò in una celebre strofa: «Mite corpus perforatur, sanguis, unda profluit: Terra, pontus, astra, mundus quo lavantur flumine!» [«È squarciato il mite corpo, sangue ed acqua ne sgorgò: terra, mare, cielo e mondo quale fiume vi lavò»: Inno delle Lodi della Domenica delle Palme].

(Dom Gérard Calvet, La santa liturgia – Fonte: Romualdica )

giovedì 5 novembre 2015

Tradizione, visibilità e crisi della Chiesa. L'ultimo editoriale di "Radicati nella Fede"

Riportiamo qui di seguito l'editoriale di Novembre (2015) di Radicati nella Fede (vedi qui). L'autore ricorda quanto amare la Chiesa visibile sia fondamentale per conservare la fede cattolica e difendere la Tradizione in un momento di profonda crisi per la Chiesa. Senza la fede sovrannaturale nella Chiesa e l'amore per essa si affermano contemporaneamente i pericoli del volontarismo ultramontanista e del sedevacantismo che, a ben vedere, costituiscono le due facce della medesima medaglia (vedi qui). Si potrebbe, alla fine, obiettare che la visibilità della Chiesa viene meno proprio nel momento in cui chi dovrebbe vicariare l'opera del suo divino Fondatore e Reggitore è impegnato in atti e dichiarazioni che contraddicono l'essenza stessa della Chiesa. In realtà, a patto che i dogmi del primato e dell'infallibilità siano letti negli stretti limiti delle loro definizioni, ci si rende conto che la visibilità della Chiesa continua a essere data in ogni luogo in cui, per dirla con un'estrema semplificazione, "si rispettano le antiche rubriche". In questo senso la Chiesa è, nonostante la terribile crisi che l'attraversa, visibile in tutto l'Orbe.


Quanto più la crisi della Chiesa si fa terribile, vasta e profonda, tanto più occorre amare la Chiesa stessa.
Quanto più aumentano gli scandali nella casa di Dio, tanto più bisogna amare la Chiesa.

E questo amore deve essere molto concreto e operativo.

Il dovere della reazione non va mai disgiunto da un amore profondo per la Sposa di Cristo, la Santa Madre Chiesa; e su questo nessuno può scherzare.

D’altronde tu reagisci, domandi il ritorno della Chiesa alla sua Tradizione, riferendoti e utilizzando ciò che tu hai ricevuto dalla Chiesa stessa, la Tradizione appunto. Essere Cattolici tradizionali vuol dire fare proprio questo.

La Tradizione è della Chiesa, non è tua.
Non potresti appellarti alla Tradizione se tu non l’avessi prima ricevuta. Ma da chi l’hai ricevuta, se non dalla Chiesa stessa?

Come non si può seguire Cristo senza la Chiesa, la crisi Protestante insegna, così non si può essere Tradizionali senza la Chiesa.

I Protestanti pretesero di ricongiungersi a Cristo, saltando la Chiesa cattolica e la sua storia, e persero Cristo nelle nebbie di un mitico passato.
I Tradizionali, se non continueranno ad avere un amore per la Chiesa, potente fino al sangue, resteranno con una Tradizione vuota, fatta di rabbia e recriminazioni più o meno amare; ma una Tradizione senza la Chiesa non ha Cristo dentro.

Si potrebbero applicare ai “tradizionalisti acidi”, non amanti la Chiesa, le parole di S. Paolo ai Corinti:

Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7).

Sì, perché se è vero che sbaglia chi chiede un’obbedienza alla Chiesa, domandando di andare contro le verità della fede e della morale, domandando di andare contro il Vangelo e il dogma, o di dimenticarli; sbaglia ugualmente chi si attacca al dogma e al Vangelo, utilizzandolo contro l’unica Chiesa di Cristo.

Rischiano questo secondo errore tutti quelli che, partiti per la difesa del cattolicesimo tradizionale, incominciano a disquisire se il Papa è o non è tale, su chi sia veramente il vescovo, o dove sussista veramente la Chiesa di Dio. Questi estendono la difesa della Tradizione a un campo che non compete loro, rischiando il pericolo gravissimo di porsi fuori della Chiesa.

Dice il père Calmel 

La Chiesa non è un'istituzione di questo mondo: discende dal Cielo, direttamente da Dio (…) La Chiesa è invincibile, anche se con figli soggetti alla sconfitta e spesso vinti e che tuttavia, finché rimangono nel suo seno, non saranno mai vinti irreparabilmente. Quando lo sono è perché si sono separati da lei (…) Essa resta la dispensatrice infallibile della salvezza, il Tempio santo di Dio. Coloro che l’abbandonano si perdono, ma essa non è mai perduta”. (R. T. Calmel, Breve apologia della Chiesa di sempre, pagg. 17 e 18).

Insomma, la Chiesa è una e solo una. Non c’è una chiesa tradizionale e una chiesa modernista, c’è una sola Chiesa cattolica, i cui figli rischieranno di perdersi se la abbandoneranno, anche se con la scusa di difenderla.

Basterebbe per capire questo, lo ripetiamo, il fatto che la Tradizione per cui lottiamo, l’abbiamo ricevuta dalla Chiesa, anzi è la Chiesa stessa.

E la Tradizione, Vangelo – dogma – sacramenti – disciplina, non l’hai ricevuta una volta per tutte, continui a riceverla dalla Chiesa che è il Corpo Mistico di Cristo. E’ chiaro quindi che, in ogni decisione e attitudine, devi salvare questa unità della Chiesa e con la Chiesa, senza mettere in dubbio la sua visibilità.
Chi è Papa o vescovo, questo compete direttamente a Dio solo, e non a te. A te che hai capito la crisi della Chiesa, compete solo lo stare fermo nella sua Tradizione, in ciò che la Chiesa ha detto e fatto, fuori da questi terribili momenti di apostasia. Dio si è rivelato, ti ha dato la ragione per riconoscere la Sua rivelazione e per custodirla; non ti chiede di far politica ecclesiastica.

Occorre evitare due estremi letali per la fede: l'“autoritarismo” o “obbedientismo” da un lato e il “sedevacantismo” dall’altro: entrambi portano a lungo andare all’ateismo, alla perdita della fede.
Il primo fa stare dentro la Chiesa con una falsa obbedienza che non salvaguarda il Vangelo e i sacramenti; il secondo fa cercare una falsa chiesa alternativa; entrambi questi errori partono da una visione troppo umana della Chiesa, mancano entrambi di visione soprannaturale.

Occorre essere autenticamente tradizionali: il tradizionale sta di fronte a Dio, custodendo con amore il tesoro della Chiesa; il sedevacantista, che si inventa un’altra chiesa o non sa più dove essa sia, sta di fronte a se stesso utilizzando le cose ricevute da Dio.

Sempre père Calmel parla, con accenti commossi, dei veri cristiani, dei cristiani secondo la Tradizione, che custodiscono la fede amando immensamente la Chiesa:



Questi cristiani, che custodiscono la Tradizione senza nulla concedere alla rivoluzione, desiderano ardentemente, per essere pienamente figli della Chiesa, che la loro fedeltà sia penetrata di umiltà e di fervore; non amano né il settarismo, né l’ostentazione. Al loro posto, che è modesto e a stento tollerato, cercano di custodire ciò che la Chiesa ha trasmesso loro, ben sicuri che essa non lo ha revocato, e si sforzano, nel custodirlo, di salvaguardare lo spirito di ciò che custodiscono” (R. T. Calmel, op. cit., pag. 101).

Preghiamo carissimi, perché in noi aumenti l’amore alla Chiesa una e visibile, quanto più diventano violente le ondate dell'apostasia.


(c) Radicati nella Fede