venerdì 29 settembre 2017

Per autorità e non per giurisdizione. Sintesi e breve commento della Correctio filialis

A pochi giorni dalla pubblicazione della Correctio filialis de haeresibus proponiamo qui di seguito una sintesi e un breve commento del documento, anche con lo scopo di illustrare l'inconsistenza di alcune prese di posizione critiche.

La pubblicazione della Correctio filialis nel giorno di Santa Maria della Mercede e della Santa Vergine di Walsingham

La Correzione filiale che, sotto forma di una lettera intitolata Correctio filialis de haeresibus propagatis fu consegnata al Santo Padre l’11 agosto 2017, è stata pubblicata, in seguito al protratto silenzio del Papa, domenica 24 settembre, nel giorno della Festa della Vergine della Mercede e della Vergine di Walsingham. La prima invocata per la redenzione dei Cristiani caduti nella schiavitù degli eretici e del dominio dell’eresia e la seconda come perpetuo baluardo dell’ortodossia cattolica in un paese attraversato dagli errori del protestantesimo di Stato.

Rilevanza del documento

Si tratta di un testo frutto del riflessione teologica di un gruppo di studiosi la cui competenza è riconosciuta nei propri specifici settori e poi sottoposto a un più vasto ceto di studiosi e di accademici cattolici che, in seguito a una attenta lettura, lo hanno fatto proprio sottoscrivendolo. Dunque la Correzione filiale reca in sé la autorità “scientifica” di chi l’ha scritta e approvata, oltre alla pretesa di alcuni cattolici di vedere salvaguardato il contenuto della propria fede. Anche i due vescovi che hanno deciso di aderire a questo atto, S.E. Monsignor Bernard Fellay, Superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X (vedi qui), e di S.E. Monsignor René Henry Gracida, Vescovo emerito della Diocesi di Corpus Christi (vedi qui), non sembrano avere così esercitato più che la loro importante autorità dottrinale. Dunque l’atto di correzione in esame non si risolve, secondo la sua stessa autoqualificazione, in un atto di giurisdizione. Nel testo, infatti dopo avere descritto le differenti fattispecie del peccato personale di eresia e del crimine di eresia, quest’ultima rilevante per il diritto canonico ed eventuale strumento di sussunzione, si chiarisce che:

“Le suddette descrizioni […] vengono fornite solamente al fine di escluderle dall’oggetto della nostra correzione. Siamo solo preoccupati di evidenziare le proposizioni eretiche propagate mediante parole, atti e omissioni di Vostra Santità. Non abbiamo la competenza per affrontare la questione canonica e neppure l’intenzione” (p. 13 del testo ufficiale vedi qui)


Bisogna osservare, seppur con la necessaria prudenza, che questa dichiarazione di incompetenza da parte degli aderenti spiega, da un canto, il nomen della Correzione che è appunto “filiale”, e, dall’altro, allude a un diverso tipo di correzione che potrebbe essere formale e, dunque, implicare qualche forma di giurisdizione e di sussunzione. Tale osservazione potrebbe chiarire l’assenza “per competenza” di Cardinali e Vescovi cattolici nel pieno della propria giurisdizione dal novero dei sottoscrittori (vedi qui ulteriori considerazioni non incompatibili). Un’eventuale correzione formale essenzialmente fondata sulla giurisdizione non farebbe che “coprire” la correzione filiale meramente fondata sull’autorità e sulla condizione di fedeli e di sudditi.

Causa della della Correctio

La causa della correzione filiale emerge con chiarezza dall’esordio della lettera in cui si afferma che

“con profondo dolore, ma mossi dalla fedeltà a Nostro Signore Gesù Cristo, dall’amore alla Chiesa e al papato, e dalla devozione filiale verso di Lei, siamo costretti a rivolgerLe una correzione a causa della propagazione di alcune eresie sviluppatesi per mezzo dell’esortazione apostolica ‘Amoris laetitia’ e mediante altre parole, atti e omissioni di Vostra Santità” (p. 1)


La correzione sorge dunque dalla urgenza di porre fine alla ormai constata diffusione di eresie che hanno nell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia la propria scaturigine e che sono comunicate tramite “altre parole, atti e omissioni” di Francesco. Il testo si colloca dunque in una fase successiva ai Dubia dei quattro Cardinali (vedi qui) e deve essere inquadrato in questo specifico contesto, sicché non avrebbe gran senso rimproverare alla Correctio filialis de haeresibus l’omissione di una più ampia critica del Magistero conciliare e postconciliare.
D’altronde chi legge con attenzione il testo non mancherà di riconoscere la inevitabile posizione di questioni che trascendono la stessa trattazione di un caso esponente i caratteri di una patologia assai avanzata.

I fondamenti della Correctio e dell’esercizio filiale dell’autorità

L’autorità e la competenza esercitate dai sottoscrittori della correzione non è priva di fondamento. Tre sono le basi o fonti di legittimazione dell’iniziativa. Il principio proprio della legge naturale in base al quale il sudditi hanno il diritto, complementare al dovere di obbedienza, di essere governati secondo la legge razionale (e ciò perché questa, aggiungiamo, non può che essere conforme alla legge naturale che è a sua volta “riflesso della legge eterna nella mente dell’uomo” – così San Tommaso) e “di insistere, qualora ci fosse bisogno, che i loro superiori così governino” (p. 1). La legge di Cristo il cui Spirito ispirò San Paolo a rimproverare pubblicamente San Pietro (Gal 2) (il testo riprende a tal proposito STh 2 2ae, 33, 4 ad 2, e la Glossa di Sant’Agostino; ci sia consentito qui di rinviare sul punto anche alla ricostruzione nell’ottimo scritto di p. F. Schmidberger, Amt und Person des Simon Petrus, Sarto-Verlag, Stuttgart, reperibile qui). E infine la legge della Chiesa secondo cui “i fedeli [...]in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, [...] hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa” (CJC 212 § 2 e 3).

Il Ministero petrino come momento correlato della Correctio filialis

Tramite questo triplice fondamento la Correzione filiale, che pur non costituisce, come s’è visto, un atto di giurisdizione, si colloca senza dubbio nell’ambito della legittimità e dell’ordinamento della Chiesa cattolica e trova qui, lungi dall’essere un atto eversivo, il proprio momento correlato nell’esercizio del Ministero petrino. Esso è stato definito dogmaticamente, per quanto riguarda il particolare aspetto dell’infallibilità, dal Concilio Vaticano I con la Costituzione Pastor Aeternus (cap. 4) che, escludendo ogni funzione creativa e positivisticamente sovrana dell’officio del Papa, insegna che questi, quando definisce un dogma, dichiara infallibilmente, perché assistito dallo Spirito Santo, un contenuto già sin dall'inizio presente nel “deposito della fede”.
Coerentemente con questa definizione, seppur a un livello inferiore, anche il Magistero ordinario, che non è “protett[o] dalla divina garanzia di verità”, è vincolante, se non in virtù della propria forma, certamente in forza del proprio contenuto quando esso è conforme ai contenuti della Rivelazione e del Magistero costante della Chiesa. Di qui la inerenza della correzione alla stessa funzione del Papato: portare il Pontefice all’esclusione di alcune possibili aberrazioni del Magistero ordinario, qui della Amoris Laetitia e di alcuni atti successivi, per difendere non soltanto Pietro dalle opinioni di Simone, ma l’intero corpo della Chiesa dall’eresia che da queste aberrazioni potrebbe sorgere.

Il contenuto della Correctio filialis

Gli autori della Correctio – in forza della propria autorità “scientifica” e della triplice legittimazione che li colloca pienamente nell’ordinamento della Chiesa – procedono dunque a un esame dei contenuti di Amoris Laetitia e di alcuni atti successivi direttamente o indirettamente imputabili a Francesco. Si tratta ogni volta - quasi risalendo al giudizio che dovrebbe essere normativo per la scrittura del Magistero ordinario – di confrontare il deposito della Tradizione e della Scrittura con alcune proposizioni della Esortazione Apostolica; e rimangono finalmente impigliati nella griglia dell’ortodossia i passaggi che riguardano la “legge della gradualità”, l’“integrazione” del peccatore nella Chiesa, l’impossibilità di una “condanna per sempre”, il “discernimento personale e pastorale” come regola ultima, lo status del divorziato risposato, il diverso “grado di responsabilità” e la diversità delle reazioni possibili, la possibilità che non a tutte le situazioni irregolari corrisponda una situazione di peccato mortale, “la risposta che per il momento si può offrire a Dio”, la dispositività (e cedevolezza) delle norme morali generali, la conciliabilità di una vita in grazia di Dio con una situazione oggettiva di peccato, la volontà di Cristo affinché la Chiesa si adatti a queste circostanze e a queste considerazioni, la necessità che la teologia morale si conformi alle stesse (pp. 3-5). Segue l’elencazione delle “parole, atti e omissioni di Vostra Santità” che confermano in momenti successivi ed esecutivi le proposizioni eterodosse di AL (pp. 5-8).
Da questo corpo di dottrine e di atti difformi rispetto al contenuto certo della Rivelazione divina e al Magistero costante della Chiesa gli Autori ricavano sinteticamente sette proposizioni eretiche che costituiscono l’oggetto stesso della Correctio:

1 - L’incapacità del giustificato dalla grazia di adempiere alcuni comandamenti divini: “Una persona giustificata non ha la forza con la grazia di Dio di adempiere i comandamenti oggettivi della legge divina, come se alcuni dei comandamenti fossero impossibili da osservare per colui che è giustificato; o come se la grazia di Dio, producendo la giustificazione in un individuo, non producesse invariabilmente e di sua natura la conversione da ogni peccato grave, o che non fosse sufficiente alla conversione da ogni peccato grave”.
2 - La possibilità che il cattolico che vive more uxorio fuori del matrimonio sacramentale non sia necessariamente in stato di peccato mortale e si salvi: “I cristiani che hanno ottenuto il divorzio civile dal coniuge con il quale erano validamente sposati e hanno contratto un matrimonio civile con un’altra persona (mentre il coniuge era in vita); i quali vivono “more uxorio” con il loro partner civile e hanno scelto di rimanere in questo stato con piena consapevolezza della natura della loro azione e con il pieno consenso della volontà di rimanere in questo stato, non sono necessariamente nello stato di peccato mortale, possono ricevere la grazia santificante e crescere nella carità”.
3 – La possibilità che chi viola la legge divina, conoscendone pienamente il contenuto, non si trovi in peccato mortale: “Un cristiano può avere la piena conoscenza di una legge divina e volontariamente può scegliere di violarla in una materia grave, ma non essere in stato di peccato mortale come risultato di quell’azione”.
4 - La possibilità che l’obbedienza alla legge divina si risolva in peccato: “Una persona, mentre obbedisce alla legge divina, può peccare contro Dio in virtù di quella stessa obbedienza”.
5 – La possibilità che la coscienza riconosca come buoni e voluti da Dio atti sessuali interni a un’unione contraria alla Legge naturale e alla Legge divina: “La coscienza può giudicare veramente e correttamente che talvolta gli atti sessuali tra persone che hanno contratto tra loro matrimonio civile, quantunque uno dei due o entrambi siano sacramentalmente sposati con un’altra persona, sono moralmente buoni, richiesti o comandati da Dio".
6 – L'assenza di proibizioni negative dai principi morali della Rivelazione e della Legge naturale: “I principi morali e le verità morali contenute nella Divina Rivelazione e nella legge naturale non includono proibizioni negative che vietano assolutamente particolari generi di azioni che per il loro oggetto sono sempre gravemente illecite”.
7 – La volontà di Nostro Signore Gesù Cristo di modificare la disciplina sulla comunione e sull’assoluzione ai divorziati risposati: “Nostro Signore Gesù Cristo vuole che la Chiesa abbandoni la sua perenne disciplina di rifiutare l’Eucaristia ai divorziati risposati e di rifiutare l’assoluzione ai divorziati risposati che non manifestano la contrizione per il loro stato di vita e un fermo proposito di emendarsi”.

Quest’ultima posizione, che imputa a Cristo stesso la “volontà” di far sì che “la Chiesa abbandoni la sua perenne disciplina”, sembrerebbe chiudere tutto il sistema di Amoris Laetitia e consegnare un nuovo sistema “cattolico” perfettamente estraneo alla fondazione trinitaria dell’ordine creato e della stessa Chiesa, ovvero alla legge eterna e alla Verità di Dio. In questo nuovo sistema fortemente incline all'immanenza la società trascina i costumi e Cristo, ridotto a una funzione della società e del “progresso storico” o alla semplice metafora di questa sostanza, rifà di volta in volta gli ordinamenti. La Chiesa non ha che prenderne atto.
Le due sezioni successive della Correctio dimostrano come gli errori del modernismo e di Lutero siano all'origine delle proposizioni eretiche di AL e, più generalmente, dell'attuale crisi.

venerdì 15 settembre 2017

Medjugorje. Visioni celesti o inganno religioso? Un libro fondamentale di D. A. Foley

Il 24 giugno 1981 a Medjugorje, un paese della Bosnia Erzegovina, situato in uno spazio non privo di significato per la storia religiosa, iniziò una lunga serie di visioni che ancora si protraggono lasciando dietro di sé numerosi messaggi regolarmente pubblicati da una rete mondiale di seguaci del fenomeno. I veggenti sin dal primo momento hanno attribuito le visioni alla Vergine Maria, ma l’atipicità, a volte sconcertante, di quanto è accaduto, e accade, rispetto alle apparizioni precedentemente riconosciute dalla Chiesa, a partire da Guadalupe fino a Beauring e Banneux, porta a chiedersi se realmente si tratti di un autentico intervento della Madre di Dio o non piuttosto di una vicenda iniziata senza l’intenzione dei giovani – di origine sovrannaturale o preternaturale? - e poi degenerata in una messa in scena che è interesse di molti non far cessare.

Nel volume Comprendere Medjugorje. Visioni celesti o inganno religioso?, pubblicato in Italia da Cantagalli e presto nelle librerie, Donal Anthony Foley, teologo inglese ed esperto di apparizioni mariane nell’età moderna, svela con particolare acribia e lontano da ogni partigianeria, alcuni elementi preoccupanti che già emergono nei primi giorni del fenomeno. A rendere particolarmente degna di fede l’indagine di Foley è l’analisi metodologicamente ineccepibile della trascrizione delle interviste fatte ai veggenti dai francescani di Medjugorje a ridosso delle visioni.

Questi testi, per la prima volta tradotti in italiano, vengono qui riportati e letti con precisione, senza perdere di vista tutte le altre questioni legate a Medjugorje: il contesto storico, le originarie connessioni con il Rinnovamento Carismatico, le figure dei “veggenti”, la natura dei “messaggi”, la forza della propaganda, a cui sono da ricollegare anche i cosiddetti “studi scientifici”, e tanto altro ancora.

Un libro coraggioso, chiaro e documentato il cui obiettivo non è quello di convincere, né tantomeno di forzare nessuno, bensì di informare criticamente il lettore che rimane così fino alla fine libero da manipolazioni e mistificazioni. Con l’auspicio che si possa finalmente procedere ad un sano discernimento tra preternaturale e sovrannaturale, tra fenomeni pseudo-mistici e veri interventi del Cielo.

Il libro in libreria dal 5 ottobre:

Donal Anthony Foley, Comprendere Medjugorje. Visioni celesti o inganno religioso?, Cantagalli, Siena 2017, pagine 504, Traduzione di A. Sandri. Introduzione di M. Corvaglia, Euro 25.

L’Autore


DONAL ANTHONY FOLEY (1956), scrittore, con una formazione in scienze umane e teologia, dirige la casa editrice Theotokos Books (www.theotokos.org.uk). Esperto di apparizioni mariane nell’età moderna, è Segretario dell’Apostolato Mondiale di Fatima in Inghilterra e Galles. In particolare si è occupato degli eventi di Fatima e delle presunte mariofanie di Medjugorje. Tra le diverse pubblicazioni, tradotto in italiano: Il libro delle apparizioni mariane. Influenza e significato nella storia dell’uomo e nella Chiesa (Gribaudi 2004).