"I Padri alessandrini, di cui si dice che grande fosse il debito verso la scienza pagana, non mostrarono certo né gratitudine né riverenza per i loro presunti maestri, ma sostennero la supremazia della tradizione cattolica" (John Henry Newman)
Commentari cattolici nel tempo della crisi della Chiesa
martedì 27 maggio 2014
Evemero e la memoria del principe. Qualche riflessione sul senso delle recenti canonizzazioni.
Nello scritto monografico La memoria del principe: studi sulla legittimazione del potere nell'età giulio-claudia, il giurista Giuseppe Giliberti ha messo bene in luce la funzione politica che nella Roma antica svolgevano l'apoteosi, la damnatio memoriae e la rescissio actorum.
Questa la sintesi proposta dalla presentazione del libro: “In questo libro l'autore ha inteso ricostruire alcune dinamiche di legittimazione e delegittimazione del potere imperiale nell'età giulio-claudea, affrontando, in particolar modo, il tema dei giudizi politici sull'operato dell'imperatore defunto. Mediante l'apoteosi, la "damnatio memoriae" o la “rescissio actorum", si lanciava con grande evidenza un messaggio, che serviva a rassicurare i gruppi dirigenti legati al defunto, o viceversa a manifestare una clamorosa rottura di continuità politica. I sudditi erano, cioè, chiamati a venerare l'imperatore come una nuova divinità, oppure a condannarlo, o semplicemente a dimenticarlo, secondo le contingenze politiche e gli interessi del nuovo regime”.
Lo schema interpretativo proposto è suggestivo: la memoria religiosa dei predecessori come instrumentum regni nelle mani del principe regnante.
Tale schema, una volta secolarizzato, mostra una persistente validità. È ben nota la funzione politico-legittimante dell’esaltazione, della condanna o dell’oblio storici dei capi politici. Esiste indubitabilmente un pantheon del politicamente legittimo e un tartaro del politicamente illegittimo.
Se passiamo a considerare l’attualità della Chiesa, ed in particolar modo le recenti canonizzazioni, è difficile non nutrire almeno il dubbio che lo schema interpretativo proposto da Giliberti sia valido anche per esse.
La canonizzazione di due papi che rappresentano il nuovo corso della Chiesa, quello conciliare, e la prossima beatificazione (se non canonizzazione) di un terzo, consentono di ipotizzare, senza troppa irriguardosa spregiudicatezza, che la Chiesa conciliare, attraverso il principe regnante, è in fine giunta all’apoteosi dei suoi stessi artefici. Per converso, tutto ciò che la precede viene sospinto con forza nell’oblio (il rito Vetus Ordo), nella damnatio memoriae (le tante scuse poste al mondo per presunte colpe che appaiono essere tutte della Chiesa pre-conciliare) o, là dove la damnatio è resa impossibile da una pregressa canonizzazione, in uno strisciante revisionismo storico (il caso di San Pio X, cfr. l'Avvenire).
L’atto della canonizzazione sembra ridotto ad un politicissimo instrumentum regni, senza troppo indugiare su vecchi concetti quale quello della grazia di intercessione.
Si obietterà facilmente che una simile lettura pecca di razionalismo e storicismo e trascura considerevolmente il soprannaturale proprio della Chiesa.
L’obiezione sarebbe fondata, se non fosse che la riduzione razionalistica e storicistica degli atti della Chiesa è da imputarsi proprio ad un male che affligge dall’interno la stessa Chiesa-istituzione visibile, il male fin troppo evidente del modernismo. Il problema non sta in una errata comprensione della Chiesa, ma nella comprensione che la Chiesa oggi pare avere di sé.
Sia consentita una breve digressione per meglio spiegarsi.
L’evemerismo è l’antica dottrina dello scrittore greco Evemero (IV-III sec. a.C.). È una dottrina che può pacificamente definirsi, agli occhi di un osservatore moderno, razionalistica e al contempo storicistica. La voce “Evemerismo” dell’Enciclopedia Treccani così sintetizza le sue asserzioni principali: “Gli dèi non sarebbero altro che potenti sovrani o eroi del passato, che erano riusciti, in virtù della saggezza o del valore, ad attribuirsi la natura divina e l’adorazione di contemporanei e posteri”. Con l’avvento del Cristianesimo, l’evemerismo fece buon gioco agli apologisti per dimostrare la falsità del politeismo. Forme di neo-evemerismo ebbero poi fortuna con l’illuminismo e il positivismo.
Il compilatore della voce enciclopedica non dubita della persistente attualità della dottrina di Evemero: “ha tuttora non poca fortuna come teoria esplicativa nella moderna storia delle religioni”.
Notoriamente il modernismo professa e pratica una tale riduzione razionalistica e storicistica del soprannaturale: è sufficiente rammentare il triste sdoppiamento di Nostro Signore in un “Gesù storico” e un “Gesù della fede”. Non serve dilungarsi per mostrare quanto un simile approccio sia ormai da decenni diffusissimo fra teologi, esegeti e finanche principi della Chiesa.
Ora, è proprio la spregiudicatezza evemeristica del modernismo ad apparire come la precisa causa della riduzione al solo livello politico dell’atto di canonizzazione: perché in fondo il principio ultimo di legittimazione sarebbe la storia stessa. Modernismo e politicizzazione della canonizzazione ben sembrano tenersi, come ben sembrano tenersi evemerismo e politicizzazione dell’apoteosi.
È forse anche per questa ragione che si consuma tra gli stessi cattolici una guerra per le memorie. Un esempio per tutti è quello della memoria di Pio XII. Molti cattolici fedeli alla tradizione lo esaltano per ciò che fece. Altri cattolici fedeli alla tradizione lo criticano per ciò che fece. I modernisti ne condannano la memoria, al di là di ciò che fece, per ciò che rappresenta. Non è un caso se Mons. Lefebvre scrisse: “Non siamo soli in questa battaglia: abbiamo con noi tutti i Papi fino a Pio XII compreso” (Ils l’ont découronné), tracciando chiaramente in questo modo, al di là delle acribie storiche, la linea di consumazione della rottura tra la vecchia e la nuova legittimità.
Certo, lo schema interpretativo proposto dovrebbe essere verificato con attenzione nella realtà.
Certo.
Di recente, riferendosi al caso dei Francescani dell’Immacolata, l'arcivescovo Rodriguez Carballo “ha detto che la fedeltà al Concilio Vaticano II costituisce un punto centrale per la vita religiosa. Letteralmente, il numero due della congregazione religiosa, ha detto: «Per i religiosi il Concilio è un punto non negoziabile». Chiunque vede nelle «riforme» del Vaticano II, tutti i mali che affliggono la vita religiosa, «nega la presenza dello Spirito Santo nella Chiesa». L’Arcivescovo curiale ha sottolineato che la Congregazione dei Religiosi è «particolarmente preoccupata» sul tema: «Vediamo le differenze reali». Soprattutto perché «molti Istituti» danno ai loro affiliati una formazione «non solo pre-conciliare, ma anche anti-conciliare», dice Rodriguez Carballo. «Ciò non è consentito, vorrebbe dire stare al di fuori della storia. Si tratta di qualcosa di molto preoccupante per noi nella Congregazione». Una «preoccupazione», ovviamente condivisa dal prefetto della Congregazione dei Religiosi, Cardinale João Braz de Aviz. Anche da Papa Francesco? Ci sono alcuni indizi” (vedi chiesaepostconcilio).
“Fuori dalla storia”. Evemero sarebbe d’accordo.
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Brillante!
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