Pubblichiamo qui di seguito un saggio di Andrea Sandri comparso ieri su Chiesa e postconcilio (vedi qui). Ripercorrendo una lunga vicenda teologica in Inghilterra, che dalla seicentesca Defensio Fidei Nicenae di George Bull porta alle riflessioni del beato John Henry Newman sugli ariani del IV secolo, il presente scritto individua luoghi e categorie idonee a conoscere il senso della crisi attuale della Chiesa e il ruolo delle parti in campo.
1 – Una delle principali opere del Seicento teologico inglese è la Defensio Fidei Nicenae[1] del vicario di Siddington Mary’s e futuro Lord Bishop di St David’s George Bull. Pubblicata nel 1685, la Defensio fu approvata da molti autori cattolici e ottenne anche il consenso di Jacques Bénigne Bossuet che la considerò, nel suo complesso, oggettivamente cattolica. Il titolo polemico dell’opera di Bull corrisponde principalmente all’effettiva urgenza di difendere il Credo di Nicea dalla risorgente eresia sociniana, antitrinitaria e unitariana, in campo protestante, oltre che, nella specifica prospettiva del teologo anglicano, al posizionamento rispetto all’autorità della “Chiesa di Roma” e alla pretesa di questa sede di definire evolutivamente il deposito della fede. Sarà, in realtà, quest’ultimo il tema che occuperà John Henry Newman fino all’atto di conversione ricevuto dal passionista italiano Domenico Barberi nell’eremo oxoniense di Littlemore nel 1845[2].
1 – Una delle principali opere del Seicento teologico inglese è la Defensio Fidei Nicenae[1] del vicario di Siddington Mary’s e futuro Lord Bishop di St David’s George Bull. Pubblicata nel 1685, la Defensio fu approvata da molti autori cattolici e ottenne anche il consenso di Jacques Bénigne Bossuet che la considerò, nel suo complesso, oggettivamente cattolica. Il titolo polemico dell’opera di Bull corrisponde principalmente all’effettiva urgenza di difendere il Credo di Nicea dalla risorgente eresia sociniana, antitrinitaria e unitariana, in campo protestante, oltre che, nella specifica prospettiva del teologo anglicano, al posizionamento rispetto all’autorità della “Chiesa di Roma” e alla pretesa di questa sede di definire evolutivamente il deposito della fede. Sarà, in realtà, quest’ultimo il tema che occuperà John Henry Newman fino all’atto di conversione ricevuto dal passionista italiano Domenico Barberi nell’eremo oxoniense di Littlemore nel 1845[2].
In particolare le pagine della Defensio costituiscono una risposta all’eresia,
che si andava diffondendo tramite le opere di Daniel Zwicker (1612-1678) e di
Christopher Sandius (1644-1680), secondo la quale la dottrina ariana con il suo
rifiuto della fede trinitaria fu lo sviluppo estremo, negato dai Padri niceni,
delle dottrine autenticamente apostoliche dei primi tre secoli[3].
D’altro canto, non meno pericolosa, e tutto sommato divergente soltanto nel
giudizio rispetto alle conclusioni degli unitariani tedeschi, appariva a Bull
la posizione del gesuita francese Dénis Petau che nel suo De Trinitate (1644) aveva affermato
che realmente i padri anteniceni erano incorsi in gravi errori nell’esporre
alcuni punti fondamentali della fede cattolica (la Trinità e l’Incarnazione
anzitutto) e che il Concilio – allora quello di Nicea ma poi ogni altro
concilio ecumenico fino al Tridentino – ebbe l’autorità di condannare le
vecchie formule e di definire, in
opposizione a esse, l’autentico credo cattolico.
Agli occhi del vicario di
Siddington Mary’s l’argomento fondato sull’intervento dell’autorità dottrinale
del Concilio non poteva colmare l’asserita discontinuità della tradizione
apostolica lungo tre secoli ed era necessario giustificare proprio i padri
anteniceni e dimostrarne l’ortodossia per stabilizzare nel semper eadem della fede della
Chiesa il Credo di Nicea e per difendere così quest’ultimo dalle aggressioni
dei nuovi antitrinitari protestanti e anche dalla dilatazione dell’autorità
definitoria del concilio (e del Papa) sostenuta dallo stesso Petau. In tal modo
Bull individuava nella antica geografia della Chiesa dei Padri le coordinate di
un luogo – non Roma, non Antiochia, ma Alessandria - in cui dovette pensare di
trasferire la sua chiesa e in cui idealmente, tra il 1831 e il 1833, Newman scrisse
The Arians of the Fourth Century e,
tra il 1844 e il 1845, The Development of
the Christian Doctrine.
L’argomento principale con cui
Zwicker e Sandius intendevano arruolare nella propria setta gli autori dei
primi tre secoli e in base al quale Pétau, insieme all’erudito Pierre-Daniel
Huet che aveva attaccato l’alessandrino Origene negli Origeniana (1668), li accusava, si
reggeva sulla collazione di passi nei quali gli antichi scrittori e apologeti
sembravano affermare la nascita temporale del Verbo divino e anticipare l’affermazione
di Ario secondo cui “ci fu un tempo in cui [il Figlio] non esisteva” (ην ποτε οτε
ουκ ην). Contro questi autori Bull dimostra che, quando i padri anteniceni
affermano la nascita del Verbo, non intendono in realtà negare la sua eterna
genesi dal Padre, ma descrivere, in maniera metaforica e figurativa, la condiscensione (o συνκαταβασις) del
Figlio ovvero il suo “uscire” dal Padre in
operatione tantum al momento di creare e governare il mondo. Non soltanto
questo linguaggio non scandalizza autori come Sant’Atanasio, San Basilio e San
Gregorio Nazianzeno, ma il luogo della condiscensione, si afferma nella Defensio fidei, è sviluppato dagli
stessi Padri postniceni.
Attorno alla difesa di San
Barnaba, San Policarpo, San Clemente Romano, Sant’Ignazio d’Antiochia, del
Pastore di Erma, di San Giustino, San’Atenagora d’Atene, Sant’Ireneo,
Tertulliano, San Teofilo, San Clemente Alessandrino, San Dionigi
Alessandrino, Sant’Ippollito e dello
stesso Origene, Bull ricostruisce la teologia cattolica professata nei primi
tre secoli e destinata a essere confermata dal Concilio di Nicea e poi dal
Costantinopolitano: i Padri anteniceni professavano la coeternità del Figlio
che esisteva ancor prima che fossero posti i fondamenti dell’universo per Suo
stesso tramite, e la Sua consustanzialità con il Padre, essendo il Verbo,
secondo un’espressione già presente in Tertulliano, “luce da luce”. In tal
senso professavano che il Figlio, consustanziale al Padre, ha la fonte della
propria divinità nel Padre (e non il Padre nel Figlio) ed è mandato dal Padre (e non il Padre dal
Figlio). Da quest’ultima verità tenevano per certo che il Figlio governò e
avrebbe governato divinamente l’intero ordine dell’amministrazione del mondo e
che Egli parlò agli uomini santi dell’Antico Testamento tramite dispensazioni ed economie fino a redimere,
presa la natura umana, la sua Chiesa sull’Altare del Golgota.
3 - Come s’è visto, i libri della
Defensio Fidei Nicenae costituiscono
un’apologia puntigliosa e indiscriminata degli scrittori anteniceni - latini e
greci, occidentali e orientali -, e tuttavia l’emergenza di alcuni aspetti
fondamentali sembra adombrare una tesi complessiva sui primi tre secoli: la
lunga, quasi monografica, difesa di Origene di Alessandria[6] (in
cui Bull prende le parti di Rufino di Aquileia, traduttore latino di Origene,
contro San Gerolamo) e l’individuazione della scaturigine dell’eresia ariana
nell’opera dell’antiochieno Paolo di Samosata.
La tesi, che Newman sviluppa nel
capitolo I de Gli Ariani del IV secolo e che diviene
canone interpretativo dell’“insegnamento della Chiesa pre-nicena in relazione
all’eresia ariana” (capitolo II) e dei fatti e delle dottrine dei Concili
durante i regni di Costantino, Costanzo, Costante, Giuliano, Gioviano e
Valentiniano (capitoli III-V), non può che apparire l’esplicitazione e lo
sviluppo degli aspetti fondamentali appena individuati all’interno della Defensio. Newman ribalta, infatti,
l’opinione diffusa, secondo cui focolare dell’infezione ariana era stata
principalmente la chiesa di Alessandria[7], e
indica con sicurezza in Antiochia l’epicentro della crisi.
La chiesa di Antiochia, il cui
primo vescovo era stato lo stesso San Pietro, conobbe, dopo il martirio di San
Babila, lo “spirito dell’Anticristo” in Paolo di Samosata che, in maniera
confusa, negò per primo il concetto di “sostanza” (ουσια), utilizzato già dai
padri del III secolo per descrivere la consustanzialità delle persone della
Santissima Trinità, e ne ottenne col raggiro la condanna da parte del sinodo
cattolico di Antiochia (262). Sullo sfondo di questa negazione Newman scorge
una scuola teologica profondamente caratterizzata da un sincretismo
cristiano-giudaico incapace di cogliere nell’Antico Testamento “l’anticipazione
di promesse e di comandi più grandi realizzatisi nel Vangelo” e incline a un metodo letterale coniugato con la critica razionalistica degli stessi
contenuti letterali e con la loro dissoluzione
dialettica. Alla scuola di Antiochia si era formato Ario, anche se, al
momento di dichiarare al mondo la sua eresia, si trovava ad Alessandria. In
Siria, in Palestina e nell’Asia minore si propagò l’eresia antitrinitaria prima
che altrove[8].
Proprio nell’idea che
l’interpretazione letterale fosse insufficiente, la scuola di Alessandria si
allontanava dal sola scriptura di
Antiochia; inoltre il concetto di tradizione,
che è l’antagonista di ogni letteralismo, conservò la sua chiesa
nell’ortodossia seppur attraverso le persecuzioni. La chiesa di Alessandria,
fondata da San Marco, era la chiesa polemista e missionaria dell’antichità. La
sua scuola catechetica risaliva a Sant’Atenagora, e San Panteno, successore del
grande apologeta, era stato inviato missionario tra gli indiani e gli arabi.
San Panteno e San Clemente Alessandrino erano stati i maestri di Origene che
“denunciò l’eresia ariana sessant’anni prima che Ario la proclamasse”. San Gregorio
Taumaturgo e San Dionigi di Alessandria, che avevano studiato sotto Origene,
furono tra i primi a denunciare l’eresia di Paolo di Samosata. Sant’Alessandro
di Alessandria, maestro di Sant’Atanasio, fu il primo grande oppositore di Ario.
Newman si sofferma a lungo sulla
catechesi alessandrina individuando tre momenti intimamente connessi: la disciplina arcani, il metodo allegorico e il metodo economico. Laddove gli
antiochieni affermano il primato della lettera delle Scritture, gli alessandrini
- seguendo il detto di Clemente, secondo cui la verità è nascosta come “il
gheriglio commestibile nel guscio della noce”, e l’ammonizione evangelica di
“non gettare perle ai porci”- sostengono che la Chiesa possiede un legato
apostolico (un arcanum) costituente
lo stesso principio di unità della fede di cui le Scritture non sono che un’ulteriore
fonte di prova; di conseguenza tra i testi della Bibbia e il legato apostolico
si instaura una tensione interpretativa in base alla quale il testo è sempre allegoria di una verità che la Chiesa
possiede in quanto originariamente ricevuta da Cristo e dagli Apostoli; se la disciplina arcani nasconde, l’economia rivela
tanto quanto la concreta disposizione del destinatario a riceverla consente. Il
metodo dell’economia, già individuato
da Bull, è generalmente una pedagogia cui ricorre il maestro con il bambino, la
Chiesa con i catecumeni, i pagani e i giudei, e Dio stesso con l’umanità (le dispensazioni concesse a Noé, a Giobbe e
a Mosé sono altrettante economie); lo stesso Gesù Cristo ogni volta che parlò
per parabole utilizzò il metodo economico[9].
L’approfondimento delle
concezioni alessandrine mette così in luce il nesso immediato tra la tradizione, come fonte della rivelazione
distinta dalle Scritture, e la formulazione dei “credo” che sono “redatti
secondo le tradizioni apostoliche […] così che, in pratica, la Chiesa non si è
mai trovata letteralmente nella necessità di raccogliere il senso della
Scrittura”[10]. D’altro canto la
prospettiva alessandrina aggiunge un argomento all’apologia dei Padri
anteniceni le cui formulazioni, anche quando appaiono incomplete, trovano la
propria ortodossia nella tradizione e talvolta si giustificano in base
all’esigenza economica di rispondere
all’eresia sabelliana o patripassiana (così l’argomento della condiscensione, se ben indagato, è anche
comprensibile come una risposta a chi negava ogni distinzione tra il Padre e il
Figlio).
3 – La lettura di Bull e di
Newman introduce vieppiù in una rappresentazione in cui la tradizione apostolica,
lungi dall’eclissarsi durante quasi tre secoli per ricomparire in forma
autoritativa nel Credo niceno, è costantemente conservata e comunicata da
alcuni Padri sparsi in tutto l’orbe cristiano; una rappresentazione in cui
tuttavia, già nella prima parte del III secolo e poi fino almeno al Concilio
costantinopolitano, la chiesa di Alessandria si appaesa come il luogo ideale e fisico della continuità
dottrinale conforme al legato apostolico in contrapposizione con il
protestantesimo antiochieno (ché davvero l’Antiochia antica dovette essere per
il giovane vicario di St Mary, già prossimo alla fondazione del movimento
trattariano e influenzato dall’amicizia di Richard Hurrel Froude, la metafora
del continente calvinista e luterano). Rimaneva da definire all’interno di
questa geografia antica (e attuale) la posizione di Alessandria rispetto
all’altra grande chiesa apostolica – alla Chiesa
di Roma.
In realtà a Newman non sfugge il
pericolo insito nel metodo della scuola alessandrina e non può evitare di
notare che, se il metodo letterale trascura la natura economica di ogni testo rinunciando alla verità cui esso
ulteriormente allude, il metodo allegorico è continuamente tentato a lasciare
dietro di sé il “senso principale e primario” delle dispensazioni bibliche ed
evangeliche ovvero a dissolverlo in un labirinto di immagini ardite. A tale
tentazione non si erano sottratti il Clemente degli Στρωματείς e, soprattutto,
Origene che della scuola alessandrina era pur stato il massimo maestro. Petau e
Huet avevano accusato Origene seguendo San Gerolamo, Bull aveva difeso Origene
appellandosi a San Panfilo e a Rufino di Aquileia (si sostenne che Origene era
stato o frainteso o letto in testi manipolati dagli eretici suoi nemici),
Newman chiama in causa soprattutto Sant’Atanasio già difensore di Origene[11] e
vede confluire e quasi purificarsi nella vita e nella figura del grande vescovo
di Alessandria, nell’eroe dell’ortodossia cattolica durante il IV secolo, la
missione della Chiesa che era stata egualmente di San Marco, del santo
missionario Panteno, di San Clemente, dei santi patriarchi Dionigi e Alessandro
e dello stesso Origene. Atanasio è per Newman colui “che, dopo gli Apostoli è
stato lo strumento principale con cui le sacre verità del Cristianesimo sono
state palesate e preservate per il mondo”[12].
La seconda parte di The Arians of the Fourth Century - la
parte storica dell’opera che tratta “il Concilio ecumenico di Nicea durante il
regno di Costantino”, i “concili durante il regno di Costanzo” e i “concili dopo
il regno di Costanzo” – descrive il giovane Atanasio a Nicea al seguito del suo
vescovo Alessandro cui succedette, il lungo esilio di Atanasio in Occidente
dopo essere stato accusato dai seguaci del perfido Eusebio di Nicomedia e
condannato dai sinodi ariani di Cesarea e di Tiro, i rapporti di amicizia con
Eusebio di Vercelli e con Lucifero di Cagliari, l’assoluzione da parte del
sinodo di Roma, la sua presenza al Concilio di Sardica (promosso da Papa Giulio
e presieduto da Osio di Cordova), la condanna nel 355 al Concilio eusebiano di
Milano, Papa Liberio che lo difese e quindi lo abbandonò “per amore della pace
ancora più forte del suo desiderio di martirio”, il finale trionfo e la morte
di Atanasio nel “possesso pacifico delle chiese per le quali aveva sofferto”.
4 - In realtà per il vicario di
St Mary la debolezza e la caduta di Papa Liberio, che nel mezzo della
confusione accettò di sottoscrivere un credo semiariano, sono meno importanti
del rapporto tra Alessandria e Roma che si realizzò durante l’esilio di
Sant’Atanasio e che avrebbe impresso un provvidenziale orientamento alla Chiesa
fino al Concilio di Costantinopoli. La chiesa di Alessandria era riuscita a
conservare la fede grazie a un metodo teologico che non solo non escludeva il
deposito apostolico ma lo presupponeva come necessaria profondità di ogni
dottrina ortodossa, e tuttavia proprio la crisi ariana mostrò l’insufficienza
di quel metodo nell’assenza di un’autorità
universale che ne confermasse le indagini o ponesse limiti all’eccessiva esuberanza
che lo avrebbe indebolito (il caso di Origene era eloquente). In tal senso
l’incontro tra Papa Giulio I, e poi Papa Liberio, e Atanasio coronava gli
sforzi secolari della scuola di Alessandria ed esibiva l’armonia della Chiesa
universale.
La ricerca sugli ariani del IV secolo dovette così rivelare a Newman ciò
che Bull non aveva potuto affermare fino in fondo (altrimenti avrebbe
corrisposto all’invito di Bossuet e di altri a unirsi alla Sede di Roma) e che
Petau aveva sostenuto in maniera difettosa – che l’autorità definitoria della
Chiesa senza il vincolo oggettivo della tradizione del deposito apostolico si
risolve in una specie di volontarismo sovrano non estraneo al soggettivismo liberale
e modernista (contra Petau) e che la
tradizione del deposito apostolico senza l’autorità definitoria della Chiesa si
espone al pericolo di un metodo necessariamente incerto, quand’anche corretto (contra Bull)[13].
Che, infine, Alessandria, come luogo
storico in cui la tradizione è difesa e conservata, può avere ragione per molto
tempo nonostante Roma e persino contro Roma, ma, senza la Chiesa di Roma, dopo
dieci o più lustri si ritrova monofisita.
[1] Si fa qui riferimento alla versione inglese di Edward
Burton: G. Bull, Defensio Fidei Nicenae. A Defence of the Nicene Creed out of the Extant
Writings of the Catholick Doctors, who flourished during the three first
Centuries of the Christian Church, Oxford [1827] 1851-52.
[2] Per gli aspetti biografici si rinvia, tra gli altri, a
C. Siccardi, Nello Specchio del cardinale J.H. Newman, Verona 2010, passim.
[3] L’occasione è
descritta dall’autore della Defensio nel
testo To the Reader con il quale si
apre il primo volume: “For they [learned friends] gave me to understand that
the writings of Christopher Ch. Sandius were every where in the hands of our
students of theology and others, a writer who openly and unblushingly maintains
the blasphemy of Arius as the truly
catholic doctrine, and as supported by the voices of all the ancients who
preceded the council of Nice” (pp. VII-VIII) (c.m.).
[4] Lo stesso che in The
State of the the Protestant Religion in Germany denunciò nel 1825 il
razionalismo della nuova esegesi biblica in terra tedesca.
[5] Si veda a tal riguardo J.H. Newman, Apologia
pro vita sua, Milano 1992, pp. 52 ss.; I.
Ker, John Henry Newman. A Biography, Oxford 2010, pp. 42-48; J. Morales Marín, John Henry Newman. La vita, Milano 1995, pp. 91-92.
[6] E’ interessante osservare che il capitolo IX del
Libro II della Defensio (vol. I, pp.
217-284) fu inserito dall’Abbé J.P. Migne
nell’appendice volume XVII del celebre Patrologiae
cursus completus, series graeca, Parigi 1857, tra gli scripta ad Originem spectantia come Excerptum ex Georgii Bullii presbiteri anglicani Defensionae Fidei
Nicenae dopo la Apologia S. Pamphilii
pro Origene, il Rufini liber de
adulteratione librorum Origenis e il P.
Danielis Huetii Origeniana (Huet!).
[7] Così J. H.
Newman, Gli ariani del IV secolo,
Milano 1981: “Ho mirato, in modo
particolare, seguendo le orme dei nostri grandi teologi, a liberare i Padri
alessandrini dalle calunnie che, per avversione verso di essi o verso la causa
ortodossa, sono state gettate così liberamente e senza paura contro di essi”.
[8] Vedi in merito alla scuola di Antiochia ibidem, pp.
3-20.
[9] Vedi in merito alla scuola di Alessandria ibidem, pp.
31-72.
[10] Ibidem, p. 113. Newman dovette riconoscere nel
sistema alessandrino della disciplina
arcani e delle economie il
concetto sostanzialmente cattolico di tradizione appreso tra il 1822 e il 1825
da Edward Hawkins, suo predecessore a St Mary e futuro rettore di Oriel. Così
infatti si legge in Apologia pro vita sua,
cit., p. 29-30: “Dal dottor Hawkins presi un altro principio, che ha più
diretta attinenza col cattolicesimo di tutti quelli che ho finora elencati: la
dottrina della tradizione. […] Egli enuncia una proposizione che è di per sé
evidente […], cioè che il testo sacro non ebbe mai lo scopo di insegnare una
dottrina, ma solo di convalidarla, e che se noi vogliamo imparare una dottrina
dobbiamo rivolgerci ai formulari della Chiesa: per esempio il catechismo e i
simboli della fede”.
[11] Newman ricorda che già Sant’Atanasio difese e
giustificò Origene. E’ questo il giudizio sulla complessiva ortodossia del
maestro alessandrino che infatti si legge in Atanasio,
Il credo di Nicea [De decretis
Nicenae Synodis], Roma 2001, p. 112: “Che il Logos sussista eternamente e che
non si [da] un’altra sostanza o ipostasi, ma [progenie] propria di quella del
Padre, come dissero quelli nel concilio, lo potrete anche sentire
dall’infaticabile Origene. Le cose che egli ha scritto per la ricerca e
l’esercitazione, non vanno prese come pensiero suo proprio, bensì di quelli
che, nel corso della ricerca, entrano in lizza nella discussione. Quelle cose
invece che egli esprime in maniera definitoria, queste rappresentano il
pensiero proprio dell’infaticabile [maestro]”.
[13] Tale è l’approdo che sarà approfondito in J.H. Newman, Lo sviluppo della dottrina cristiana, Milano 2003, dove tra l’altro
si legge: “Quindi, la risposta più ovvia a chi ci chiede perché mai ci
assoggettiamo all’autorità della Chiesa nelle questioni e negli sviluppi
concernenti la fede è questa: ci deve essere una qualche autorità, se ci è
stata data una rivelazione, e non vi è altra autorità tranne la sua” (p. 117),
e significativamente più sotto: “In verità, il principio del dogmatismo diede
origine, nel corso del tempo, ai Concili. Ma esso operava, anzi dominava sin
dal principio in ogni parte della cristianità. […] I Concili e i Papi sono i
custodi e gli strumenti del principio dogmatico. Essi non sono questo principio, ma lo suppongono” (p. 347) (c.m.).
Padre Stanley Jaki ha affrontato le problematiche descritte in questo articolo in un libro dal titolo Neo-Arianism as Foreseen by Newman Port (Huron, MI: Real View Books, 2006).
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