mercoledì 14 aprile 2021

La "liceità del vaccino" e il cono normativo. Una risposta alle dieci domande del Professor de Mattei


Un anno fa individuavamo nella dichiarazione del Presidente del Consiglio Conte (“il primo diritto garantito della Costituzione è quello della salute”) e nella riflessione del costituzionalista Gaetano Azzariti (“Un punto deve essere chiaro. È vero che ci cono interessi in gioco che hanno rilievo costituzionale però, e penso a Thomas Hobbes, su tutto prevale il diritto alla vita, nella forma essenziale del diritto alla salute. Di fronte a questo tutti gli altri diritti devono essere limitati. È il primo compito dello Stato quello di tutelare la vita e la salute”) gli inizi ideologici di un sistema tirannico (la dittatura si iscrive, invece, ancora nel campo proprio del diritto ed è destinata a cessare con il venir meno dello stato di eccezione) (vedi qui).
Se, infatti, “il diritto alla salute” è “il primo diritto garantito dalla costituzione” che “su tutto prevale”, ad esso deve essere subordinato ogni diritto di libertà con il suo patrimonio di diritto naturale e di tradizione giuridica. Dopo un anno di lock-down e di limitazioni poliziesche delle libertà costituzionali (compresa la libertà di culto) che si sono spinte oltre ogni razionalità, l’analisi di allora sembra essere confermata.
Oggi lo sviluppo sistematico del “diritto alla salute” si allarga alla “liceità delle vaccinazioni” e, se è vero che tale diritto “prevale su tutto” e costituisce un “compito dello Stato”, l’obbligatorietà universale della vaccinazione deve ritenersi già all’ordine del giorno del Leviatano sanitario.

In questi giorni è uscito un saggio del Professor Roberto de Mattei Sulla liceità morale della vaccinazione dal sottotitolo assai poco weberiano “Una risposta chiara ed esauriente a coloro che considerano la vaccinazione contro il Covid-19 in sé illecita, perché funzionale all'aborto” (Edizioni Fiducia, Roma 2021) e, sulla scia delle reazioni a questo testo, è apparso nel sito Corrispondenza Romana un “questionario”, sempre di de Mattei, sotto il titolo Dieci domande agli anti-Vax (vedi qui). Prima di recensire il libro Sulla liceità (tra le more dell’editore e delle Poste italiane), vogliamo qui soffermarci sulle “dieci domande” dello storico romano di cui abbiamo nel tempo condiviso e apprezzato tesi e posizioni, tentando alcune prime considerazioni.  

La “liceità” del concetto 

Le “dieci domande” sembrano, nel loro complesso, voler separare la “liceità morale della vaccinazione” dal suo contesto storico e ideologico, liquidando ogni considerazione sulla campagna vaccinale in corso in tutto il mondo come “complottismo”. Il “vaccino” è ridotto al suo mero concetto e, in quanto tale, sussunto sotto alcuni recenti pronunciamenti della Pontificia Accademia per la Vita e della Congregazione per la Dottrina della Fede, per dimostrarne formalmente la liceità. 
 
Su questo nucleo dal quale si dipana l’interrogare del Professor de Mattei possono essere introdotte alcune essenziali osservazioni. Certamente, prima ancora dell’invenzione del vaccino, non fu estranea alla teologia morale l’idea che è «lecito servirsi di carne umana nei medicamenti, perché allora è tanto alterata e mutata, che non si può più chiamare cibo di carne umana», come scrive nel secolo XVIII il padre Paul Gabriel Antoine s.j. sotto la voce “peccati di gola” (Compendio di tutta la teologia morale, Stamperia Baglioni, Venezia 1819, p. 130). Ed è ancora questa regola che, in definitiva, rende lecito l’utilizzo di cellule embrionali nella produzione dei vaccini (anche di quelli anti-covid), con alcune precisazioni che seguono. Tuttavia la regola difficilmente può essere estesa ai nuovi “vaccini genetici” (a RNA messaggero) (anche su questo punto qualche considerazione più oltre). Né a questo tipo di vaccini fa ultimamente riferimento la Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid del 21 dicembre 2020 approvata da Papa Francesco con esplicito rinvio a pronunciamenti precedenti (vedi qui).

L’astrazione dal contesto storico e ideologico 

L’affermazione della liceità morale dei vaccini, astraendo dal contesto storico e ideologico, se, da un canto, presenta il vantaggio di permettere l’individuazione di una fattispecie astratta, espone, dall’altro, nella sua ipostatizzazione, a pericoli non trascurabili, soprattutto quando ci si affretti a collocare la valutazione del contesto sotto la categoria liquidatoria del “complotto”.

Attraversa tutta la Nota della CDF la preoccupazione, già presente nella regola di p. Gabriel (si deve trattare di carne “tanto alterata e mutata”), dell’origine remota del materiale biologico utilizzato: «La ragione fondamentale per considerare moralmente lecito l'uso di questi vaccini è che il tipo di cooperazione al male (cooperazione materiale passiva) dell’aborto procurato da cui provengono le medesime linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, è remota» (n. 3). E, coerentemente, la preoccupazione della possibile funzionalizzazione attuale dell’apparato abortista alla produzione di vaccini (e, implicitamente, di altro materiale socialmente utile: farmaci, cosmetici, aromi alimentari etc.): «È da sottolineare tuttavia che l’utilizzo moralmente lecito di questi tipi di vaccini, per le particolari condizioni che lo rendono tale, non può costituire in sé una legittimazione, anche indiretta, della pratica dell’aborto, e presuppone la contrarietà a questa pratica da parte di coloro che vi fanno ricorso» (n. 3). Viene a tal proposito in mente il mercimonio di feti intrapreso da organizzazioni come Planned Parenthood meritoriamente denunciato a più riprese dal sito americano lifesitenews

È quindi problematico affermare astrattamente, senza soffermarsi sulla origine remota delle linee cellulari fetali utilizzate, la “liceità morale della vaccinazione”, e ciò perché il concetto “lecito” (assai prossimo al concetto di “legale”) tende subito a essere assorbito nel “cono normativo” (vedi qui) di un ordinamento attuale e vigente di leggi dominato dal principio leviatanico apicale secondo cui «su tutto prevale il diritto alla vita, nella forma essenziale del diritto alla salute» (Azzariti), un ordinamento in cui difficilmente può trovare tranquilla cittadinanza la regola enunciata dal Teologo morale. Forse il saggio del professor de Mattei avrebbe potuto più convenientemente essere intitolato Della legittimità morale della vaccinazione – sospettiamo con conclusioni più condivisibili per il pubblico cattolico.

In realtà, con riguardo al contesto storico, ideologico e positivamente normativo nel quale la “liceità morale del vaccino” è affermata, più che di “complotto” (circostanza che, d’altronde, in una ricerca libera non può essere esclusa a priori) si dovrebbe parlare di un movimento effettivamente e attualmente operante e tentazionale, che tende ad attrarre e porre ogni regola nella sfera del proprio dominio. Ma tutto ciò è ridotto da de Mattei all’irrilevanza della mera circostanza e della proiezione del pensiero complottista. 

Rimangono domande tanto fondamentali quanto concrete: siamo assolutamente certi del fatto che la produzione dei cd. vaccini anti-Covid tradizionali (AstraZeneca, Sputnik) attinga soltanto a linee cellulari di aborti remoti? A “carne tanto alterata e mutata”? Oppure assistiamo all’inaugurazione trionfale di un’industria sanitaria del “diritto supremo della salute” cui è funzionale il sistema legislativo dell’aborto? Ciò ci introdurrebbe a un “nuovo mondo” apertamente anticristiano. In questo spazio problematico si collocano e trovano certamente legittimità le posizioni e i caveat (perché no?) magisteriali dei vescovi americani che non contraddicono necessariamente la ratio della Nota della CDF (vedi qui).

I nuovi vaccini 

Come si è appena accennato, i nuovi vaccini (ad es. Pfizer e Moderna) che intervengono tramite l’RNA sul patrimonio genetico umano, non sono presi (almeno espressamente) in considerazione dalla Nota della CDF. Certamente non sono sussumibili sotto la regola del Teologo morale (se non per il fatto apparentemente provvisorio che anche qui si fa uso di linee cellulari fetali). De Mattei nelle “dieci domande” non vi fa accenno, lasciando nel lettore il sospetto che il concetto di “liceità morale” possa essere esteso anche a questi (bisognerà leggere il saggio). E qui si pone la questione fondamentale (e l’omissione più preoccupante) che, in fondo, domina tutto il tema.

Qui si pone, insomma, il tema, per lo più trascurato dalla dottrina cattolica tradizionale (non però da Benedetto XVI, Caritas in veritate, VI), dell’“essenza della tecnica” e del suo “dominio” che trascende e include normativamente lo stesso dominio del Leviatano, ponendo il “diritto supremo alla salute” al proprio servizio. Il problema della tecnica è stato tematizzato a fondo dalla filosofia moderna, con particolare profondità da Ernst Jünger che vi vede la realizzazione oggettiva di una “forma entelechiale” (Gestalt), dal fratello Friedrich Georg che di questa realizzazione fa emergere l’aspetto più anti-umano, il puro automatismo svincolato da ogni finalismo, e, sulla scia di questa riflessione (esposta esemplarmente ne La perfezione della tecnica, Settimo Sigillo, Roma 2000), da Martin Heidegger che descrive la tecnica come impianto (Gestell) che provoca l’estremo oblio dell’essere e dell’esperienza umana (così soprattutto nelle Conferenze di Brema e di Friburgo, Adelphi, Milano). Nell’impianto tecnico la regola necessitante è la fattibilità: lo scienziato non si ferma di fronte alla fattibilità, e tutto il “cono normativo” è soggiogato alla sua norma. Tutto è posto dalla tecnica e dai suoi organi esecutivi. 

La forza efficiente e normativa della fattibilità – come osserva Hans-Georg Gadamer - deriva, in ultima analisi, dall’eliminazione della visione teologica del mondo nel moderno e dalla sua sostituzione con la tecnica come “forza autonoma dell’essere”, la cui essenza, proprio per escludere ogni creatore, si formalizza, secondo la lezione di Heidegger, in un porre universale. «In tal guisa abbiamo fatto ingresso in un secondo mondo che possiede un proprio linguaggio e propri concetti fondamentali». «Il mondo dominato dalla tecnica moderna» non è più l’ordine creato retto dal suo Creatore, «è un altro mondo» (così H.-G. Gadamer, Umanesimo e rivoluzione industriale, in Id., La filosofia nella crisi del moderno, Herrenhaus, Seregno). In questo spazio del “cono normativo” il fattibile diventa normativo, il legittimo diventa il lecito, e il lecito il meramente legale. E non appare scandaloso (come apparirebbe sotto il dominio del buon Dio) che si possa vincere un virus modificando l’ordine genetico dell’essere umano, ormai totalmente posto sotto la lewisiana “orribile forza”. 

 A.S.

2 commenti:

  1. Al di là del vaccino la domando che mi pongo, senza riuscire a trovare una risposta soddisfacente, ruota intorno all'eventuale disponibilità di ciascuno a rinunciare alla vita quando l'alternativa è l'assunzione di un farmaco frutto di una linea cellulare compromessa.
    Il frutto spaventoso della tecnica è la solitudine che però, credo, è l'unico osso che dobbiamo rosicchiare finchè non ritroviamo Dio.

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  2. Grazie. Una riflessione su cui meditare e da riprendere.

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