martedì 3 agosto 2021

La FSSPX tra fronte e retrovia. Intorno a una nota dell'Abbé Gleize

L’Abbé Jean-Michel Gleize
Al momento l’Abbé Jean-Michel Gleize è probabilmente il teologo più rappresentativo della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Professore di Teologia fondamentale presso il seminario di Ecône, ha preso parte, in qualità di esperto di ecclesiologia, ai colloqui dottrinali con la Santa Sede tra il 2009 e il 2011. Di questo teologo, nel 2013, sono uscite in lingua italiana le Questioni disputate sul XXI Concilio Ecumenico (Editrice Ichtys, Albano Laziale, vedi qui) in cui Gleize, se da un canto individua in «testi come Nostra Aetate sulle religioni non cristiane, Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e Dignitatis humanae sulla libertà religiosa», gli snodi della discontinuità tra Tradizione e Concilio Vaticano II, afferma, dall’altro, che questi testi «impongono una scelta: o il Vaticano II o la Tradizione». Sicché non si può non osservare che così la teologia ufficiale, ma non sempre comune, della FSSPX ripropone, quasi in un “divergente accordo”, la tesi progressista della monoliticità del ventunesimo Concilio della Chiesa, senza tener conto di ermeneutiche che distinguono, in base al costante parametro della Tradizione, diversi livelli di vincolatività nei documenti conciliari nei quali è subentrata la confusione tra dottrina e pastorale (così, per esempio, p. Serafino Lanzetta in Il Concilio Vaticano II, un concilio pastorale. Ermeneutiche delle dottrine conciliari, Cantagalli, Siena 2014 vedi qui).

In uno scritto recente (vedi qui e qui l'originale francese) il medesimo aut-aut è applicato dall’Abbé Gleize alla lettura comparativa dei Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (2010) e Traditionis custodes di Francesco (2021). Mentre il “conservatore” Benedetto XVI si limiterebbe a non decidere tra Novus e Vetus Ordo, proprio perché, a monte, non avrebbe deciso tra Concilio Vaticano II e Tradizione (così farebbe l’ermeneutica della continuità), Francesco assumerebbe coerentemente questa decisione in favore del Novus Ordo, dal momento che avrebbe già deciso per il Concilio Vaticano II. L’aut-aut di Gleize porta però il teologo all’omissione e all'oblivione dell’autentica decisione di Benedetto XVI nel senso della Tradizione liturgica e della sua non abrogabilità, decisione che costituisce il vero fondamento dogmatico e teologico del Summorum Pontificum e che rende questo documento solo superficialmente (su una superficie positivistica) paragonabile al procedere di Traditionis Custodes (vedi più ampiamente quanto abbiamo scritto qui). E, omesso il principio dogmatico, lo porta anche a opporre quasi positivisticamente testo a testo, rito a rito, laddove il discorso teologico, di per sé insufficiente (come ammette lo stesso Gleize nell’introduzione al libro appena citato), potrebbe servirsi del magistero. Nell’opposizione dialettica tra coloro che decidono per il Concilio Vaticano II e coloro che decidono per la Tradizione, tra coloro che decidono per la Messa tradizionale e coloro che decidono per la Messa di Paolo VI, l’Abbé Gleize non solo finisce per perdere di vista il fondamento certo del principio dogmatico dichiarato da Benedetto XVI (“la tradizione giuridica non può essere abrogata”), oltre che per contrapporsi così quasi occasionalisticamente alla decisione di Francesco, ma anche per collocare la FSSPX in una posizione, quella del fronte, che in questo momento non le spetta (e in cui la Provvidenza non sembra averla posta).

In realtà Traditionis Custodes aggredisce solo indirettamente la FSSPX: la aggredisce perché le Messe celebrate dai sacerdoti della FSSPX hanno (piaccia o no all'Abbé Gleize) la propria legittimità ultima nel principio dogmatico enunciato da Benedetto XVI, ma solo indirettamente perché la FSSPX, inserita in una missio atipica concessale da Francesco (su questo punto è tornato a esprimersi senza mezzi termini e in un modo che a taluni può sembrare ingiusto e crudele il Cardinale Burke, vedi qui), non è contemplata in termini normativi da Traditionis custodes. E sul fronte, perché invece direttamente colpiti dalle regole opposte al principio dogmatico della inabrogabilità della Tradizione giuridica, sono posti questa volta, diversamente dal 1971 e dal 1988, i parroci che si sono avvalsi fino a ieri delle regole ratzingeriane del Summorum Pontificum e ai quali è oggi interdetta la Messa nelle chiese parrocchiali, i neordinati che aspirano a un sacerdozio nella Tradizione liturgica, gli istituti ex Ecclesia Dei che si vedono minacciata la propria autonomia e la propria vocazione monoritualista, le abbazie, i conventi e le case religiose tradizionali. Tutto questo mondo è posto oggi sul fronte della Messa antica un tempo occupato dalla FSSPX, e si può credere che la vittoria di questo fronte sarà la vittoria di tutti, della Chiesa.

E la Fraternità Sacerdotale San Pio X? A essa non è tolto un ruolo fondamentale, bensì necessariamente assegnata una nuova posizione, quella della retrovia. Una guerra senza retrovia è spesso perduta sin dal principio. Restare nel posto in cui la Provvidenza ora la pone, significa per la FSSPX portare acqua e sostegno al fronte, garantire, con la propria lunga esperienza, ogni aiuto spirituale e materiale. I modi potranno essere individuati. Certamente non si tratta di sottrarre fedeli e sacerdoti a chi sta al fronte, quasi approfittando di un fallimento non ancora dichiarato (nonostante le suggestioni del teologo di fiducia), bensì di incoraggiarli a rimanere dove già sono. In questo modo la FSSPX potrà ordinarsi proficuamente al principio della Tradizione liturgica ben al di là della opposizione positivistica di due riti, e potrà finalmente ordinarsi al bene della Chiesa tutta, ponendo le basi di un giusto e pieno riconoscimento canonico in un futuro migliore, che potrebbe non tardare, e meritandosi riconoscenza e amicizia future anche oltre le proprie mura.

In questo senso possono essere lette le parole del Superiore della FSSPX, don Davide Pagliarani, contenute nella lettera del 22 luglio “Sul motu proprio Traditionis custodes” (vedi qui), la quale, mentre evidentemente condivide alcune posizioni dell’Abbé Gleize, sembra maggiormente aperta alla cattolicità della Chiesa: «La Fraternità San Pio X ha il dovere di aiutare tutte queste anime che si trovano attualmente nella costernazione e nello sconforto. Abbiamo innanzitutto il dovere di offrire loro, con i fatti, la certezza che la Messa tridentina non potrà mai scomparire dalla faccia della terra: si tratta di un segno di speranza estremamente necessario. Inoltre, occorre che ognuno di noi, sacerdote o fedele, tenda loro una mano rassicurante, perché colui che non desidera condividere i beni che possiede è in realtà indegno di tali beni. Solamente così ameremo veramente le anime e la Chiesa. Perché ogni anima che guadagneremo alla croce di Nostro Signore, e all’immenso amore che ha manifestato con il suo Sacrificio, sarà un’anima veramente acquisita alla sua Chiesa, alla carità che la anima e che deve essere la nostra, soprattutto in questo momento».

A.S.

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