sabato 19 ottobre 2013

Il nominalismo del Vescovo di Roma e la tragedia della fede

Uno dei passaggi più difficoltosi dell'intervista rilasciata da papa Francesco a Eugenio Scalfari e apparsa su la Repubblica il primo di ottobre riguarda l'affermazione della autonomia della coscienza:

Santità, esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?

«Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene».

Lei, Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa.

«E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo».


Queste affermazioni la cui mera enunciazione sembra contraddire il magistero precedente dei Sommi Pontefici, trovano il loro sistema nell'omelia di Santa Marta del 17 ottobre. In essa si sottolineano due aspetti:

- La contrapposizione di un cristianesimo infecondo dei dogmi e dei precetti(liquidato come "ideologia") a un cristianesimo autentico della sequela di Cristo:

“La fede passa, per così dire, per un alambicco e diventa ideologia. E l’ideologia non convoca. Nelle ideologie non c’è Gesù: la sua tenerezza, amore, mitezza. E le ideologie sono rigide, sempre. Di ogni segno: rigide. E quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede: non è più discepolo di Gesù, è discepolo di questo atteggiamento di pensiero, di questo... E per questo Gesù dice loro: ‘Voi avete portato via la chiave della conoscenza’. La conoscenza di Gesù è trasformata in una conoscenza ideologica e anche moralistica, perché questi chiudevano la porta con tante prescrizioni”.
- La conseguente contrapposizione tra chi "dice le preghiere" e chi "prega":

“La chiave che apre la porta alla fede è la preghiera ... Quando un cristiano non prega, succede questo. E la sua testimonianza è una testimonianza superba ... è un superbo, è un orgoglioso, è un sicuro di se stesso. Non è umile. Cerca la propria promozione... quando un cristiano prega, non si allontana dalla fede, parla con Gesù ... dico pregare, non dico dire preghiere, perché questi dottori della legge dicevano tante preghiere” ... Una cosa è pregare e un’altra cosa è dire preghiere... Questi non pregano, abbandonano la fede e la trasformano in ideologia moralistica, casuistica, senza Gesù. E quando un profeta o un buon cristiano li rimprovera, fanno lo stesso che hanno fatto con Gesù: ‘Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile – questi ideologici sono ostili – e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie – sono insidiosi – per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca’. Non sono trasparenti. Eh, poverini, sono gente sporcata dalla superbia. Chiediamo al Signore la grazia, primo: non smettere di pregare, per non perdere la fede, rimanere umili. E così non diventeremo chiusi, che chiudono la strada al Signore”.


Il primo aspetto ribadisce la posizione antimetafisica di Bergoglio: non sono le oggettivazioni del Credo a costituire oggetto della fede, anzi esse sono "ideologia" proprio perchè oscurano la vera esperienza di Cristo da parte del soggetto. Tra l'uomo e la fede viene meno l'intelletto e della fede non si può dire "quaerens intellectum". Gli oggetti della fede non sono più che nomina.

Il secondo aspetto sembra legarsi strettamente al primo. Se la fede è esperienza di Cristo - debellatrice dei dogmi sulla fede e sull'ordine morale -, la preghiera deve differenziarsi radicalmente dal "dire preghiere". "Dire preghiere" è infatti osservanza delle forme di preghiera in maniera tale che la lex orandi sia costantemente in armonia con la lex credendi della Chiesa cattolica e che la preghiera della Chiesa, che è Corpo Mistico di Nostro Signore Gesù Cristo, sia la preghiera di ognuno. Pregare, come credere, diventa per Bergoglio un'inconoscibile sequela di Cristo, mentre il deposito della fede un ostacolo: un'ideologia.

Il ribaltamento di prospettiva è evidente. Orgoglioso è chi crede gli oggetti della fede e chi "dice preghiere" con la Chiesa, mentre umile è chi si impegna rimuovere il deposito della fede e così "apre la Chiesa" e prega informalmente. In altri termini umile, cristiano, cattolico (e l'universalità? la romanità? l'apostolicità?) è colui che crede e prega senza la Chiesa.

In particolare il ricorso polemico da parte di Bergoglio alle ammonizioni di Gesù Cristo ai farisei non sembra condivisibile, giacchè Cristo non chiedeva ai farisei di fondare una chiesa extra ecclesiam, ma una perfetta coerenza con i precetti (pienamente conoscibili, tramandati e tramandabili!) della Chiesa (ancora il vecchio Israele). Certamente Nostro Signore Gesù Cristo non fondò una Chiesa (il nuovo Israele) informale, liberale e antiliturgica.

È evidente che una fede nominalista e una preghiera informale sono le vesti calzanti di una coscienza autonoma. È la coscienza che crede e prega secondo la propria esperienza del "Cristo" e, secondo le stesse parole del Vescovo di Roma, noi dobbiamo incitare il soggetto della coscienza autonoma "a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene". Che si tratti qui dello stesso "Cristo" che disse a Pietro "Pietro tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa" (Mt 16, 16), è lecito e doveroso dubitare.

Se questa fede nominalista e questa preghiera informale costituiscono il programma del Vescovo di Roma, sono da aspettarsi conseguenza catastrofiche per la fede e per la liturgia. I presagi di ciò non sono sino ad oggi mancati.

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