giovedì 6 gennaio 2022

Due ordini, due resistenze. Alcune osservazioni sul presente tra Chiesa e secolo

Reinhold Ljunggren (1920-2006) - Interno svedese

L'articolo che segue, pubblicato per la prima volta nel nr. 133 (2021) nella rivista Controrivoluzione (qui), completa la riflessione già sviluppata in Vigiliae Alexandrinae qui, qui, qui e qui.

Non pochi negli ultimi tempi hanno notato un doppio ed estremo disordine, nell’ambito della Chiesa e nell’ambito politico-sociale, quasi come ci fosse una causalità che dal primo giunge finalmente al secondo. Si tratta in ogni caso di una causalità spirituale, non verificabile con un metro positivo, e non sempre tanto univoca come potrebbe apparire. Se inizialmente un disordine a livello soprannaturale è destinato a ripercuotersi nella sfera dei rapporti naturali e storici, in concreto esistono reciproche influenze che non possono essere trascurate. Per esempio, la Chiesa seppe tener freno alla Rivoluzione francese e diede un decisivo contributo, negli anni successivi, al relativo ristabilimento di un ordine storico giusto. Ciò nondimeno si deve constatare che questa considerazione non esaurisce ogni prospettiva sulla causalità tra i due ambiti, se soltanto si pensa, rimanendo nell’esempio, che, da un canto, il pensiero rivoluzionario del XVIII si pose alla conclusione di un processo di autonomizzazione dalla teologia di filosofia, politica, diritto ed economia iniziato proprio all’interno della Seconda Scolastica e delle Università del tardo Medioevo, e che, dall’altro, l’Illuminismo secolare aveva compenetrato la società ecclesiastica di quello stesso secolo. La guardia al confine tra società ecclesiastica e società politica dovrebbe essere sempre un compito di chi conserva l’ortodossia nelle varie epoche, per impedire che l’errore religioso penetri nel mondo e che il pensiero del mondo penetri nella Chiesa con successive ricadute nel mondo. 

Una posizione eterodossa, che nasce nell’ambito ecclesiastico progressista sotto il nome di teologia della liberazione, e che, per diverse vie, ha finito per estendersi al campo conservatore e “tradizionalista” confondendo religione e politica, è quella che fa coincidere la grazia e il suo conseguimento con la lotta politica di liberazione. In questo modo alla donazione della grazia, come processo interno all’uomo la cui iniziativa è esclusivamente di Dio, si sostituisce un’azione di liberazione come atto estrinseco dell’uomo, come una violenta appropriazione pelagiana della salvezza in una prospettiva ultimamente immanentistica. La rievocazione aberrante di episodi storici, intimamente legati alla professione della fede e all’obbedienza alla Chiesa, come la Vandea, il Sanfedismo, le insorgenze antirisorgimentali, le guerre carliste, il levantamiento spagnolo, la guerra cristera, si presenta oggi come l’affermazione di un grande sacramento politico nel quale salvezza sovrannaturale e libertà politica delle comunità storiche finiscono per confondersi con un grave pericolo per la fede e per le anime. Di fronte a questo fenomeno che coinvolge, con diversi gradi di consapevolezza, individui e gruppi e non rende giustizia alle esperienze del passato evocate, occorre distinguere la diversa natura dell’ordine nelle due sfere.

Quando la teologia della liberazione nella sua versione “tradizionalista” entra nella sfera ecclesiastica con la pretesa di “riportare la Tradizione”, finisce (quasi sempre) per negare l’ordine stesso della Chiesa, attraendolo, con il pretesto dell’apostasia del clero, nell’immanenza della lotta politica, e ciò in vista della una restaurazione violenta di un passato ideologico o, come spesso accade, del compimento del tutto soggettivo di un messaggio mariano, come quello di Fatima, decontestualizzato da ogni comprensione mariologica e teologico-sistematica. Contro questa prospettiva si deve considerare che la Chiesa è dotata di una costituzione donata dal suo Divino Fondatore il quale si serve di essa per continuare a essere il suo Capo, a governare i cristiani e a essere tra loro. Il primato petrino (Mt 16), con il principio della gerarchia e della missio (Gv 20, 21), e il munus docendi (Mt 28, 19-20), così come l’opera sacramentale della Chiesa in tutto l’orbe, non possono essere dichiarati sospesi, abrogati o derogati in nome di uno stato di necessità che tende con il tempo a divenire fondamento di una “nuova chiesa” (o di un arcipelago di “nuove chiese”), e del grande sacramento politico in cui ci si sente coinvolti. L’effetto non trascurabile della negazione della vigenza attuale e concreta della costituzione divina della Chiesa, soprattutto del primato e della gerarchia, è la trasformazione del Cattolicesimo in una posizione intellettuale a disposizione di ogni interprete. E tale negazione è anche la tentazione più forte per il “tradizionalista” di fronte agli scandali che affliggono la Chiesa (uno su tutti l’adorazione della Pachamama). Benché certamente non possano essere accettate le dottrine eterodosse diffuse dal clero e dalla gerarchia e non ci si possa sentire obbligati a partecipare a pubblici atti di apostasia e di profanazione, l’ordinamento della Chiesa deve essere continuamente affermato tramite una insistente ordinazione formale e materiale al Papa, e al suo luogo che è Roma, nonché alla gerarchia della Chiesa, sempre tenendo conto della diversa vincolatività degli atti magisteriali. In ciò non possono mancare i doni della grazia dati da Cristo e non afferrati violentemente attraverso la lotta politica. 

Nell’ambito propriamente politico si sono accumulati molti equivoci dei quali non cessiamo di essere vittime. Siamo, infatti, ormai abituati a pensare la politica come monopolio dell’ordinamento dello Stato. In realtà l’Occidente, dalle Opere e i giorni di Esiodo alla cameralistica settecentesca, passando per la grande esperienza medioevale dell’ordinamento feudale della terra, ha senza interruzione pensato, in quanto ontologicamente poste al centro degli ordinamenti politici ed economici, la casa e la famiglia su una porzione di terra come elementi di un’unica istituzione creata. Ogni casa è una piccola monarchia originaria retta da un pater familias, da un oikodespotes o da un Hausherr: le monarchie antiche sono costituite da casati sovrapposti a case e le democrazie antiche sono sempre confederazioni di case, in entrambi i casi con un costante diritto di secessione. Ancora nel XVII secolo il cameralismo era la scienza della gestione del patrimonio dello “stato” come patrimonio del casato. La Rivoluzione francese con la decapitazione di Luigi XVI mise (apparentemente) fine a questo sistema introducendo ingenuamente, in un primo momento, l’autogoverno degli individui (“fratelli” in quanto parricidi) e, poi, con il maggior realismo dell’abate Sieyès, il governo della rappresentanza della società nazionale dei “fratelli cittadini”. La chiusura necessaria fu la sovranità del legislatore che esclude tanto i ceti (le case, le famiglie, le professioni) quanto l’intervento delle potenze straniere (tra le quali certamente la Chiesa). Oggi, mentre la società nazionale dei “fratelli” si è dilatata, secondo la propria originaria logica economica (e finalmente tecnica), alla società globale, gli Stati si sono ridotti a enti di esecuzione locale delle decisioni del Governo mondiale dell’umanità e delle sue agenzie. Quest’ultimo esito, che costituisce evidentemente il superamento in atto dello Stato di diritto, introduce la realtà tirannica cui la crisi sanitaria ci sta abituando.

La riaffermazione della costituzione divina della Chiesa non soltanto definisce la superiorità sovrannaturale della Chiesa stessa e la sua autonomia nella storia rispetto a ogni ordinamento politico tirannico – anche rispetto al grande sacramento che ci si illude essere la soluzione della crisi mortale della nostra epoca -, ma pone anche la politica nel suo giusto ordine. Il grande equivoco della dottrina sociale della Chiesa è stato quello di porre lo Stato al vertice dell’ordinamento della sussidiarietà sociale, lasciando così spesso credere che la definizione ultima del “bene comune” (che in realtà è qui soltanto un “interesse pubblico” eventualmente conforme al bene comune) possa essere assegnata allo Stato, talvolta ingenuamente immaginato come “Stato cattolico”. In realtà lo “Stato (moderno) cattolico” è un ossimoro in quanto tale irrealizzabile, e le proposizioni del magistero sociale hanno senso compiuto soltanto se riferite alla politica antica. Ciò che, dunque, nell’ordine politico deve essere riscoperto è il suo fondamento ontologico, come è stato sopra descritto, nella sua radicale opposizione allo Stato moderno. Si tratta qui, ogni volta, di ri-porre e difendere la decisione politica (sull’educazione dei figli, sull’economia, sui trattamenti sanitari, sugli amici e sul nemico etc.) nel luogo in cui il Creatore ne ha posto l’autorità sin dall’inizio, ossia nell’istituzione complessiva della casa che comprende un signore della casa e una famiglia. Ne potrà così sorgere con il tempo una confederazione di case, una “polis parallela”, come la chiamò il filosofo della resistenza ceca al comunismo Václav Benda, assai più dotata di realtà di quanto lo sia la fantasmagoria statale. E, a questo punto, diverrà sempre più evidente che la necessità dell’ordine “impolitico” della Chiesa è condizione della libertà della decisione politica dell’individuo di fronte allo Stato e, in certe circostanze, di un’ordinata e conveniente anarchia cristiana. 

Andrea Sandri

Immagine: Reinhold Ljunggren (1920-2006) - Interno svedese

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